Marco Ciccarella | Soggetto, mondo-delle-cose, Capitale

Traccia 1.
Soggetto e mondo-delle-cose
 
Sé e Altro, periodico riproporsi di variazioni seriali, di coincidenza e riflessione, di Interno e Intorno, di proiezione e investimento, di simboli e di scambi. Il soggetto si costituisce dialetticamente, in un moto seriale, come rappresentazione proiettiva di un Sé e di un mondo-delle-cose che lo circonda. Questo Sé, instabile costituente identitario, è il processo sintetico tra Interno e Intorno, è l’espressione di un Sé e un altro-di-sé, che sempre Sé è. In altri termini, il mondo circostante non solo è costituito dall’Io, ma ne è identità stessa, appunto sintetica, riflessione di pezzi di Sé raccolti dal mondo-delle-cose che viene disposto, cosa per cosa, intorno al Sé, come un limen tra Io e Altro. È come se ogni soggetto costruisse il suo regno di specchi in ognuna delle cose che dispone, significa, accoglie, moltiplica intorno a Sé. Ogni specchio riflette un pezzo del Sé, gioco fenomenologico di proiezione, e questa casa degli specchi misura la struttura stessa della sua teatralità rappresentativa. Si vuol intendere che ogni Io si vede negli oggetti che sceglie per rappresentarlo, che ogni oggetto è sempre oltre il suo valore d’uso, è sempre rappresentazione e proiezione di codici soggettivi e comunitari. La condizione del soggetto è di una irreversibile immanenza, sempre all’assalto di un “là” che diventerà “qui”, conquistato, espropriato all’Altro, mai riconosciuto come Altro. E allora il mondo-delle-cose, Intorno di un Interno, simbiotico proiettivo, si struttura a terra egologica, appunto altro-di-sé, simulacro ontologico dell’Io. A tal punto si è Intorno che si muore per esso, in un gioco proiettivo in cui il furto non è mai solo sottrazione di cose, ma sottrazione di Sé. La produzione proiettiva sulle cose, su un fronte che è sempre un oltre dell’Io e che di quell’Io è riflesso, limen e ponte di appropriazione, accoglie il gioco di simulacri che raccolgono pezzi di Sé. Il punto di partenza di questa analisi è qui, laddove si intenda un soggetto sempre intra- ed extra-flesso di cose, su cose, per cose. E a maggior ragione si intenda un soggetto che elegge a cosa anche l’Altro, il suo spettro, il suo scarto. Resto di alterità che il Sé brama come trofeo identitario, l’Altro che diviene sempre altro-di-sé dell’Io e mai altro-da-sé. S-confinare è sottrarre confine all’Altro, spostare il proprio Sé sempre un po’ più in là: un “là” che diviene “qui”, che diviene il mondo-delle-cose di un Io che si celebra nel suo Intorno, tra dentro e fuori, tra Sé e Altro, Interno e Intorno sintetici.
 
 
Traccia 2.
Interno e Intorno. Autopoiesi e proiezione
 
Il simulacro simbolico si ipostatizza costitutivamente, definisce, poiché determina, il reale. L’Intorno è già sempre interno, simbolico e autopoietico, perché investitura trionfale del Sé. Le corrispondenze mancate sono perdute per sempre, in un al di là irriflesso, quindi nulla, in una titanica proiezione di senso dell’Io. E non importa la corrispondenza, laddove il segno è già sacrale, è già autopoiesi proiettiva di un Io che tutto può, in quanto costituente simboli, segni e reale. Non assistiamo alla deriva del soggetto, ne celebriamo l’irreversibilità autoreferenziale. Un intorno che scodinzola alla sua porta, giustificato, cucito, tramato, sistematizzato da un Sé narciso, da ogni suo volere. E il punto è proprio qui, questa danza macabra dell’Intorno si risolve nel suicidio identitario dell’Io, con un Intorno che dissolve l’Interno, che, goffo e vulnerabile, a forza di celebrare la sua proiezione, i suoi riflessi, celebra la sua fine in Altro. L’Io, da sistema costitutivo, diviene giostra costituita di un Sistema strutturale e comunitario, il Capitale, che ridefinisce l’Intorno e lo cristallizza variabile, sempre diverso, eppure sempre identico a sé, dissolvendo l’Interno. Sistema che si fa eteropoiesi dell’Io, che ri-veste oggetti qualunque di simboli e ne chiede il conto, continuamente ne chiede il saldo inestinguibile. Sistema che detta l’Intorno, che è pur sempre mio, che pur sono Io, eppure al servizio di Sistema, di proiezioni immaginifiche, di merce, di specchi, di nulla. Il meccanismo di costituzione del mondo-delle-cose è solo perfezionato a Sistema, a liturgia simbolica, oggetti, simulacri di Sé disorientati. Vi è la progressiva sostituzione di specchi intorno ad ogni Io, riflessioni trasfigurate e polisemiche, ognuna è la rappresentazione di chi la guarda, ognuna è la trappola ideale di chi ci casca. In questo macrocosmo cosale, si compie il più grossolano e riuscito furto di identità, una vendita all’ingrosso di codici e di simboli, attraverso merce, che scrivono identità e proiezioni. Perché laddove il proprio mondo-delle-cose, Intorno di un Sé, diventa la rappresentazione eteropoietica di un Sistema di vendita, quando il profitto e il potere governano le dinamiche soggettive, allora la vera caccia è alle identità dei soggetti, alla loro ri-costituzione, con la promessa di essere ciò che hanno, poiché ciò che l’Io ha è riflesso di Sé, Intorno costituente, mondo-delle-cose come pezzi di Sé. Il processo identificativo va ben oltre, dunque, la dicotomia essere o avere, in quanto avere esprime il poter-essere in atto, l’aver-potuto essere qualcosa: è una dialettica del riconoscimento, è un et-et dialettico e non un aut-aut. L’avere è la sostituzione del fare, il comprare è il poter-essere. Se non si definisce questo spettrale e proiettivo determinismo cosale, se si pensa ancora di considerare gli oggetti come mere cose a-simboliche si perde la gigantesca messa in atto, da parte del Capitale, di un mercato di identità, prima ancora che di cose. L’oggetto corre ben oltre il valore d’uso, oltre il valore di scambio e oltre il valore di scambio simbolico. L’oggetto è lo specchio del soggetto, è un pezzo del Sé, è un moltiplicatore identitario, simbolo e codice dell’Io.
 
 
Traccia 3.
Soggetto e Capitale
 
La costituzione del Sé si struttura, nel mondo-delle-cose, attraverso un rovesciamento diabolico della dialettica signoria-servitù: laddove la liberazione del servo avveniva attraverso il proprio riconoscimento nell’oggetto lavorato, nell’indipendenza del Sé, in opposizione alla dipendenza del signore, nell’era del Capitale il servo acquista cose, comprate col denaro guadagnato. La costituzione del Sé si riflette sul potere d’acquisto, sul riverbero di un potere di acquisizione del mondo che esplicita riflessi di ciò che vorremmo essere. “Me lo sono guadagnato”, vorrebbe equivalere a “me lo sono fatto da solo”. Il denaro diviene in età moderna lo strumento di disvelamento del proprio sé. Funziona? È davvero lo sviluppo dialettico del lavoro formante di hegeliana memoria? Il denaro formante un mondo-delle-cose, specchio di Sé e del proprio poter fare/essere? Ecco che allora il valore di scambio misura il valore di capacità, di potere, quindi di essere di un soggetto. Il Capitale regola dinamiche costitutive, e alienanti, in cui il lavoro non forma più, che esprimono nel potere di acquisto la costituzione del mondo-delle-cose, riflessi di un Io che è diventato ancor di più il “Signore delle cose” a debito. Non solo il regno delle cose è simbolico, alludendo ad Altro, ma diventa costitutivamente specchio continuo di Sé. È un regno che si paga, perché il nuovo Signore delle cose stravolge il modello costitutivo dell’essere-qualcosa in luogo dell’acquistare-qualcosa. C’è uno scarto ontologico in questo gioco al ribasso che relega l’Io a Signore delle cose e, subdolamente, lo eleva a Servo del Sistema. L’indipendenza è palesemente una nuova forma di dipendenza, poiché gli oggetti si presentano preparati da Altro, irrinunciabili, status appunto, catene. In questa tragica Storia, attraverso questa traslazione eteropoietica e proiettiva, “ho un Van Gogh” è valso e vale più di “sono Van Gogh”! “È diventato qualcuno, ora ha una villa...”, centinaia di esempi potrebbero valere nel linguaggio quotidiano, mai neutrale, sistemico, che esercitano il progressivo rovesciamento del mondo-delle-cose, cadute addosso come massi sulle incaute teste di soggetti che hanno e sono, signori e servi. Nell’esporre il mondo-delle-cose, il Sistema pone con cura sugli scaffali le sue perle più preziose, a portata di chi può raggiungerle, in una gerarchia ascensionale che determina valore sociale, in-sé falsi come il valore della cosa venduta, eppure status, eppure sempre catene. Il Sistema espone immagini di Io, a pagamento puoi acquistare pezzi di te, rappresentazioni a buon mercato. Quanto vali? Cosa sarà mai il denaro se puoi comprare rappresentazioni di te spacciate per il mondo, urla subdolo? Quanto puoi comprare? Quanto puoi essere? Quanto vuoi essere? Identità e proiezione, cose e denaro. Le moderne democrazie, teatri di rappresentazioni autopoietiche, si celebrano attorno alla mobilità sociale. È questo l’acceleratore irresistibile per il regno delle cose, bramato, conquistato dal soggetto. In un mondo in cui le classi sociali sono apparentemente mobili, il mondo delle cose che mi circonda, il mio Intorno, celebra la mia posizione, il mio status. Gli oggetti sono la rappresentazione del mio potere d’acquisto, del mio essere, del mio voler-essere. Qui, dinamica costruita sapientemente dal Sistema, inizia il travaso tra Interno e Intorno: tanto più il mondo degli oggetti si riempie di essere, tanto più il soggetto si svuota, in una forma irreversibile di dipendenza da quel suo regno di cose e dal suo spacciatore di cose. Beninteso, che il soggetto costituisca il suo sé anche nella costruzione di un Intorno, laddove Interno e Intorno sono espressione del medesimo Sé, intra- ed extra-flesso, è già stato detto in queste pagine. Ben altra questione è la costituzione di un regno delle cose ad opera del Capitale, che ha piegato, amplificato, deterritorializzato il mio mondo-delle-cose in un suo feudo: riempiendolo di sue cose, merci, simboli eterodiretti, di significazioni gerarchiche e gerarchizzanti. Il Signore delle cose è divenuto il Servo delle cose del sistema del Capitale. Il soggetto ha ceduto alle lusinghe di un tappeto di oggetti che vola a pagamento, che si alza sopra le teste degli altri e che, però, rischia ad ogni volo di lasciare a terra il soggetto stesso. L’autopoiesi dell’Io si è genuflessa al nulla di una bancarella di oggetti che riflettono il proprio sé attraverso una riflessione proiettiva di simulacri. Vendesi identità, campeggia sulla bandiera del Capitale! Pezzi e prezzi pregiati di identità, un tariffario antropomorfo di declinazioni identitarie. Il potere, come poter-comprare, come Sistema che compra forza-lavoro, costituisce sintassi simbolica e codici, raccoglie sogni e incubi dei suoi servi, acquista vero Potere dal lezioso simulacro di potere che i suoi servi pagano sempre di più. E allora il mondo-della-vita del Capitale si struttura sulle e dalle vite rubate ai suoi servi, sul gigantesco allevamento di soggetti desideranti, sulla brama di pezzi di identità e riconoscimento. La lotta per il riconoscimento si è tragicamente convertita in acquisto di riconoscimento. Un catalogo di pezzi di sé esclusivi, su misura, che ci viene esposto quotidianamente, che ha il costo di un salario, di una vita, vita al servizio del Capitale.
 
 
Traccia 4.
Oggetto seriale e indifferenza identitaria
 
In questa continua rappresentazione attoriale, spesso, si dimentica un elemento decisivo per comprendere il Sistema del Capitale: l’oggetto è seriale. La rappresentazione di Sé passa attraverso la moltiplicazione dell’oggetto all’infinito. Il mondo delle cose si omogeneizza, indifferenza tra le indifferenze. E qui si scopre l’ennesimo trucco prospettico del Capitale: il catalogo di oggetti esclusivi, dei pezzi e prezzi di me, non è altro che la riproduzione degli stessi oggetti offerti a tutti. Non compro pezzi di me, mi risolvo in un mondo-delle-cose identico a milioni di Altri. Compro pezzi di me già usati, stretti, sempre troppo stretti per quello che vorrei essere, da qui l’illusione che comprando di più possa adeguare la mia aspettativa al reale. L’indifferenza è il regno delle cose e il Signore si scopre servo dell’omologazione, di un Si-stesso che dilegua ed evacua soggettività da campionario. E allora Interno e Intorno non coincidono più, un processo dis-identificativo tra riflesso e riflettente, una trasfigurazione continua, seriale, impietosa in cui ogni soggetto raccoglie pezzi di sé impropri, su un cammino mai voluto, mai desiderato, mai nulla, eppure tutto: il Regno del Capitale.
 
 
Traccia 5.
Desiderio e autopoiesi: unicità e copia
 
Qual è il ruolo del desiderio in questo gioco auto- ed etero-poietico? Il desiderio di un soggetto comunitario si disarticola in due direzioni, apparentemente antitetiche, eppure complementari: essere-Altro ed essere-unico. Nella dimensione attoriale dell’Io, proiettivo e simbolico, Interno e Intorno, Sé in continua celebrazione seriale, casa degli specchi trasfigurata, questa duplice matrice da copia-originale, una falsificazione perenne del Sé, replica di un Intorno intersoggettivo, si scopre in un Io che insegue affannosamente l’Altro più alto e il Sé più basso. Volontà di essere che si disvela sempre più giù di quanto si vorrebbe. E qui intervengono il desiderio e il Sistema, che addestra meschinamente il primo: ogni soggetto desidera essere l’Altro riconosciuto, propagandato, celebrato come speciale, e unitamente desidera essere unico e irripetibile. Il Sistema delle cose funziona così. Dal catalogo in vendita, pezzi di Sé a qualsiasi prezzo, esibisce la sintesi grottesca di questa bipolarizzazione identitaria: essere-Altro diventando unico, essere-unico diventando Altro. Il potere di acquisto misura così una capacità mimetica in perdita: essere cose, le stesse dell’Altro, in quella equivalenza essere/acquistare, fa diventare Altro. Simulazione teatrale di pezzi di un Sé in frantumi. Si pensi solo agli oggetti del lusso borghese, anch’essi seriali, appartenenza a un clan esclusivo di identici. Esclusione e identità, ci si muove tra paradossi dialettici, molti e uno, serie e unicità, nulla e basta... Il Capitale lo esige, non bastarsi mai, non fermarsi mai al Sé più basso, ma scendere ancor di più, mimetici spettri di ombre altrui, l’Altro più alto che si misura in bassezza morale, poietica, comunitaria. Chi sono gli Altri bramati, i loro regni, le loro celebrazioni rituali? Bipedi da catalogo, a portata di tutti, purché si acquistino i pezzi. Non c’è competenza nel catalogo del Capitale, sul bancone non c’è scrittura, sapere, Interno. L’esposizione è di Intorni, di pezzi visibili, status e potere di piccolo taglio, perché il Potere, quello vero, non lo si lascia certo sul bancone, non si espone, non si mostra. Si vive e detiene, si usa e compiace, barbarico e violento oppure cerimonioso e accomodante, sempre esclusivo. Il Regno del Capitale.
 
 
Traccia 6.
Il Capitale come produzione di identità
 
Il Capitale è una immensa produzione di identità, sequestrate, prima ancora che di merci, di cose. Si vendono riflessi e proiezioni, prima ancora che oggetti. È un acceleratore e compressore di desiderio, accudito e coccolato fin dalla nascita, dai suoi giochi modellati con cura sistemica, alle sue parole, parodia di un codice comunitario, condivisione di modelli simbolici, meglio se semplificati, per tutti. E il soggetto, in questa meccanica del Capitale, che ruolo ha? Genealogico e paradossale, poiché rimane il grande profeta del suo annullamento, del suo svuotamento di senso. La sua corsa nel mondo-delle-cose, la sua costituzione simbolica, quindi ontologica, in quanto il codice simbolico precede e determina il suo essere, ha fine in Altro, che è sempre Sé e non lo è più da tempo. Un regno su cui ha abdicato, per narcisismo e cupidigia autoreferenziale, il Sé più basso che governa e regola, desidera e compra, si incorona e si sottomette. È il soggetto il vero complice di questa immensa produzione di identità, il vero sciocco hobbesiano che baratta libertà identitaria autocostituente per sicurezza identitaria eteroservita, che si è consegnato al suo nuovo dominus, al venditore di pezzi usati, al Capitale, al suo regno delle cose. Perché? Come giustificare questa totemica demolizione del Sé? Questo suicidio rituale e comunitario dell’Io? Perché l’investimento simbolico del Capitale non ha eguali nella oscura storia dell’umano, perché ha costruito il suo regno sulle macerie del desiderio identitario di ogni Io, perché ha costituito para-democrazia e finta mobilità sociale, diritti e desideri, godimento e saturazione per amplificare un corto circuito bipolare copia-originale. Ha ridefinito il desiderio, ha trasfigurato le volontà di potenza, le ha sedotte, disarticolate, codificate, messe a debito, in un debito di Sé, con un Capitale sempre creditore, sempre sospeso tra illusionista e repressore, venditore di sogni e possessore dei nostri incubi. Pezzi e prezzi di Sé, lo spettacolo delle vite rubate, messe in vendita dagli stessi defraudati, geniale e commovente parodia di una miseria soggettiva autocostituente.