Gabriele Miniagio | Desiderio, godimento, fantasma: i nodi di struttura della soggettivazione in Lacan

La questione dei processi di soggettivazione è oggi resa urgente dalla presa dei corpi nei dispositivi che operano entro le reti produttive interconnesse del capitalismo digitale. È in questa prospettiva che, in una serie di studi precedenti, si è condotto un lavoro di scavo intorno a tale concetto, con particolare attenzione a Lacan[1].
Il risultato è stata la definizione della soggettivazione al contempo come esser-soggettivato e soggettivar-si: per un verso, secondo Lacan, il soggetto non è una realtà originaria, ma è generato da qualcosa che gli preesiste, il grande Altro, ossia il sistema del linguaggio e della cultura, con le sue regole di struttura. Per l’altro questa genesi non è una forma di determinismo sociale, all’interno di un ordine nomologico, poiché il soggetto è piuttosto un resto, un evento, che eccede la struttura che lo produce ed è confrontato con la propria singolarità.
Nel presente studio intendiamo riprendere tre momenti chiave del processo di soggettivazione, tre luoghi – per così dire – per cui esso passa: il desiderio, il godimento e il fantasma. Vedremo nei lavori successivi che si tratta degli stessi luoghi sui quali il capitalismo digitale si insinua per produrre soggettività funzionalizzate alle sue reti produttive. La questione che a suo tempo porremo sarà perciò: come vengono prodotte dal capitalismo digitale, attraverso l’azione codificante su desiderio, godimento e fantasma, forme di vita soggettiva normalizzata? Come è possibile che siano proprio desiderio, godimento e fantasma ciò che resiste a tale azione? In altri termini come si affrontano, proprio all’interno del plesso che tiene insieme desiderio, godimento e fantasma, normalizzazione e resistenza?
Per rispondere a queste domande è necessario approfondire i tre luoghi fondamentali per cui transita il processo di soggettivazione.
 
1. La struttura della soggettivazione nel grafo del desiderio
È opportuno riprendere i risultati precedentemente emersi[2]. Come si è visto, il soggetto è il prodotto di una dinamica complessa, che Lacan, nella sua fase strutturalista, esprime nel grafo del desiderio (Seminari V e VI). In generale possiamo dire che esso è l’effetto dell’entrata del corpo biologico nel linguaggio, inteso come codice, come struttura che, su diversi livelli, regola l’uso di una serie di elementi (fonemi, morfemi, semantemi). È chiaramente l’ultimo che interessa a Lacan: il linguaggio, designato come grande Altro (A) per distinguerlo dall’altro reale (Sr), è il tesoro dei significanti, è il repertorio che regola la combinatoria di quegli elementi; ogni intenzione di significazione, ogni messaggio rivolto dal soggetto all’altro reale, deve passare di là, attraverso questo repertorio e le sue regole. Come si vede il soggetto è qui in una posizione di originaria passività.
Vediamo allora come avviene in concreto tutto questo. Il soggetto è inizialmente corpo biologico, che esprime i suoi bisogni organici con il grido. La madre accoglie il grido come un segno e a tale segno risponde: il soggetto entra quindi nel linguaggio. Ciò comporta  una serie di conseguenze.
Innanzitutto si incontra l’altro reale; il linguaggio consiste infatti di due livelli: enunciato (il contenuto del messaggio) ed enunciazione (il fatto di parlare a un altro soggetto). Esso contiene, oltre alla verbalizzazione del bisogno, la Domanda, ossia la richiesta all’altro reale del segno della sua presenza.
In secondo luogo, incontrando l’altro materno, il soggetto è confrontato con l’enigma del suo desiderio e con tutta la struttura dell’Edipo. Esso infatti non può occupare la posizione di oggetto del suo desiderio ed è quindi sloggiato dall’aderenza fusionale al suo corpo, onde poter maturare come autonomo soggetto di desiderio. L’enigma del desiderio della madre è infatti un’incognita x di cui il soggetto non può essere la soluzione. Se il soggetto non può desiderare di essere oggetto del desiderio della madre, esso deve rivolgere il suo desiderio altrove. Fondamentale è qui il ruolo del padre o, per meglio dire, della funzione paterna, del Nome del Padre, che opera a livello di struttura: egli è portatore della Legge, ossia della proibizione dell’incesto.
In terzo luogo, per il fatto di dover dire i propri bisogni onde poterli soddisfare, il soggetto è immesso in un’esperienza delle cose che non si dà più in modo  pre-linguistico, ma avviene sempre attraverso il filtro dei significanti: ciò è reso in modo efficace dalla frase di Hegel, che Lacan riprende, secondo cui il simbolo è la morte della cosa[3]. Si incontra dunque il grande Altro (A).
In quarto luogo il soggetto impara che nel linguaggio non c’è un significante in grado di esprimere il suo essere: “io” non è un semantema, che si riferisca ad un oggetto attraverso un significato – “cane”, invece, si riferisce alla classe dei cani attraverso un certo contenuto concettuale, in una rete di opposizioni con altri significanti: gatto, elefante, etc. –  ma un indexicale, cioè un termine privo di connotazione semantica, il cui referente dipende dalla situazione (come questo, qui, etc.): si tratta perciò di una sorta di freccia che punta su chi parla al momento del parlare. Perciò il soggetto non è una sostanza già data prima di parlare e designata dal linguaggio attraverso il suo repertorio concettuale, ma qualcosa che accade nell’atto di parola e che si differisce negli ulteriori atti locutori. Il soggetto non è compreso nella struttura, non consiste in un solo significante, ma accade nella catena significante. Questa de-essenzializzazione del soggetto, questa temporalizzazione nella contingenza dell’atto di parola, questa precarietà ontogica, scatena un’angoscia di sparizione (aphanisis).
Il soggetto dunque, per il fatto stesso di parlare, di occupare il luogo dell’enunciazione, perde un essere di pura presenza, compatto, stabile e permanente; al contrario esso è mancanza a essere. Il significante ha quindi un’azione letale su di esso poiché lo priva di ogni solidità ontologica: esso non solo non c’è prima del linguaggio, ma non c’è neanche nel linguaggio, inteso come tesoro dei significanti, come Langue: esso accade nell’atto contingente della Parole. Vi è dunque una doppia barratura, una dalla parte del soggetto come mancanza ad essere ($), l’altra dalla parte della struttura, che non possiede il significante monologico del soggetto (A)
 
2 Il desiderio come resto
Vi è poi un quinto effetto e per la sua complessità va considerato a parte. Si tratta della genesi del desiderio come resto dell’azione della Domanda sul Bisogno[4]. La Domanda infatti è essenzialmente domanda d’amore; essa è, come abbiamo visto[5], richiesta incondizionata della presenza dell’altro reale; il bisogno è invece integralmente biologico, necessità organica che spinge verso qualche cosa. Ecco allora qual è la situazione: questo chiede l’oggetto della soddisfazione organica, quella il segno della presenza dell’altro, ossia nessuna-cosa.
Le due direzioni, per quanto divergenti, interagiscono. Infatti, poiché, come si è appena ricordato, il bisogno deve passare per il linguaggio e poiché il linguaggio, nell’enunciazione, chiama l’altro, esso si imbeve dell’assolutezza della Domanda, della sua impossibilità di soddisfarsi in un oggetto; al tempo stesso esso rimane un’energia che continua a spingere verso qualcosa di particolare e che non può quindi soddisfarsi del segno. Perciò, poiché la domanda ha barrato la soddisfazione in un oggetto particolare e poiché la spinta del bisogno continua a cercarlo, questa viene deviata dalla meta originaria e dislocata di volta in volta altrove. Questa continua dislocazione è appunto il desiderio, che transita di oggetto in oggetto, in una dimensione di perpetua inquietudine, irriducibile a qualsiasi schema nomologico, sociale o naturale, ingovernabile, incalcolabile, imprevedibile, singolare.
 
3. Il fantasma
Veniamo ora al fantasma. Esso è il punto d’arrivo del processo di soggettivazione ed è al tempo stesso:
  1. il supporto del desiderio;
  2. la reazione alla crisi di sparizione del soggetto nel grande Altro;
  3. la risposta all’enigma del desiderio dell’altro reale;
  4. la risposta alla propria non situazione rispetto al desiderio dell’altro reale;
  5. il punto di collegamento col godimento.
Vediamo il primo aspetto. Il desiderio non può aver luogo senza la costruzione del fantasma: si tratta una fantasia che accompagna il soggetto in tutta la sua vita psichica; è nel fantasma che si canalizza il desiderio ed è il fantasma a muovere il suo agire. Esso è la sceneggiatura del desiderio[6].
Ma il fantasma è anche una costruzione che, a fronte della strutturale precarietà ontologica del soggetto, istituita dal linguaggio, a fronte cioè della sua aphanisis, gli permette di darsi una qualche collocazione. Su questo secondo punto Lacan insiste molto nel corso del Seminario VI[7]: come si è visto il soggetto è mancanza a essere, non reperisce nel grande Altro il significante primo che gli permetta di designarsi in modo stabile e permanente. Il suo essere non è mai qualcosa che c’è già, da trovare nel repertorio dei segni linguistici, pregarantito e presente nel codice, ma insiste nel luogo contingente, occasionale, temporale dell’atto di parola. Il soggetto perciò non è né fuori dal linguaggio né dentro; a rigore non è[8]. Di qui appunto l’aphanisis.
Ma è anche il rapporto all’altro reale che fa problema: da una parte (3) infatti non è chiaro se l’altro reale ci desidera o no. Anzi, all’origine, tutta la struttura dell’Edipo sta lì a indicare che il soggetto non può occupare la posizione di oggetto del desiderio dell’altro materno. Dall’altra (4) proprio quando esso occupa il posto di oggetto del desiderio, si trova in una posizione ancora più vacillante, poiché, non avendo un essere pregarantito, ignorando chi è, non sa come rispondere, come collocarsi, qual è la propria posizione nei confronti di esso: di fronte al desiderio dell’altro reale il soggetto rischia perciò di essere aspirato, oggettualizzato, privato di un desiderio suo proprio. Essere o non essere oggetto del desiderio dell’altro è dunque ugualmente angosciante.
Ora di fronte a questa triplice mancanza (la mancanza a essere, il mistero del desiderio dell’altro, l’incollocabilità del proprio desiderio), il fantasma sembra dare una risposta: esso è lo scenario in cui è scritto il desiderio del soggetto stesso, esprime la sua fantasia di fondo; ecco che allora esso lo situa: lo scenario dà i ruoli al soggetto stesso e all’altro, interpreta il desiderio di questo e gli permette di ritrovare il suo proprio desiderio, di non essere solo oggetto del desiderio dell’altro, ma di produrre così una separazione, una soggettivazione singolare[9]. Inoltre a fronte dell’aphanisis scatenata dal simbolico in quanto tale, la sua collocazione, nel fantasma, di fronte all’altro reale, dicendogli dove sta e chi è, gli dice, più radicalmente, che è.
Il fantasma è quindi il supporto che il soggetto si dà nel momento in cui vacilla, tanto per il vuoto strutturale del simbolico, quanto per il mistero del desiderio dell’altro, quanto per la sua propria non collocazione quando ne occupa il posto di oggetto. Lacan è molto chiaro in proposito: poiché non c'è niente nel simbolico che gli dia una collocazione, il soggetto fa venire da altrove, ossia dal registro dell'immaginario, qualcosa che possa supplire a questa mancanza[10].
Ma com’è costruito il fantasma? La formula generale del fantasma è $ <> a. In esso vi è un faccia a faccia fra il soggetto barrato e l’oggetto (a), un elemento reale, un’appendice che il corpo ha dovuto cedere per via della sua entrata nel mondo della cultura. Si tratta dei tre oggetti della pulsione in senso freudiano (orale, anale, genitale), a cui Lacan aggiunge la voce e lo sguardo.
Per via dei tagli che il corpo pulsionale ha dovuto subire vi è infatti una perdita reale dell’oggetto (a); ora questa perdita reale è ricostruita fantasmaticamente nell’ immaginario: una serie di oggetti vengono trasfigurati dall’immaginario, vengono investiti di desiderio e vanno a sostituire l’oggetto (a). Il fantasma dunque annoda in sé il reale, l’immaginario e il simbolico: nel momento in cui il soggetto vacilla per via della mancanza simbolica, il fantasma, che cattura l’oggetto (a) nell’immaginario, si offre come sostegno. Il discorso lacaniano si fa qui di estrema densità teorica: l’oggetto (a), che residua dai tagli reali (e quindi in ultima analisi dalla Legge), entra nel fantasma costruito immaginariamente, che a sua volta è ciò che supplisce alla mancanza simbolica.
Il piccolo (a) è dunque l’oggetto del fantasma: esso è ciò che il soggetto ha perduto del suo corpo. Questa perdita è costruita fantasmaticamente e questa costruzione offerta come riscatto, contropartita, supplente, della mancanza simbolica: là dove il soggetto non sa più come collocarsi, perché il linguaggio non gli fornisce un significante ultimo, dato che A è esso stesso barrato, ecco che allora esso ricorre ad fantasma immaginario costruito intorno alla perdita reale di (a). Per parafrasare quasi alla lettera Lacan: il soggetto mette a sue spese, non in quanto soggetto di parola, ma in quanto soggetto vivo, di carne, qualcosa di reale sul quale ha presa in un rapporto immaginario[11]. Insomma il soggetto non può situarsi nel desiderio senza castrarsi, ossia senza perdere ciò che vi è di più essenziale nella sua vita[12]. Perciò esso rappresenta sé stesso in un fantasma costruito intorno alla parte o per meglio dire alle parti di sé di cui è stato mutilato[13]. Insomma, per via dei tagli che la Legge impone, il corpo ha perso l’oggetto piccolo (a) ed esso viene ricercato nella sua trasfigurazione immaginaria all’interno del fantasma come qualcosa che orienta il desiderio del soggetto in rapporto all’altro.
 
4. Il godimento e l’energia pulsionale intorno all’oggetto (a).
In una fase immediatamente successiva (Seminario VII – Seminario XI) Lacan sposta il suo focus dal simbolico, il significante di cui il corpo patisce l’azione con la sua contropartita in termini di fantasma, al reale, ossia la meccanica della pulsione (il godimento). Ora, la pulsione è scatenata proprio dalla cessione dell’oggetto (a).
La cessione dell’oggetto (a) infatti iscrive sul corpo dei tagli che lo sovreccitano proprio nelle zone dove essi sono avvenuti. Infatti, per via dell’entrata nella civiltà, come abbiamo visto, il nostro corpo ha dovuto cedere tutta una serie di oggetti: il seno, al momento dello svezzamento, le feci, al momento dell’educazione sfinterica, il fallo, al momento della castrazione ossia dell’assunzione della Legge (il non poter occupare il posto di oggetto del desiderio della madre). A questi tre oggetti perduti, che Freud stesso riconosce come causa della pulsione (orale, genitale, anale), Lacan aggiunge la voce e lo sguardo. A ciascuno di questi Lacan dà il nome di oggetto (a).
Si tratta in effetti di un oggetto dallo strano statuto: può avere effetto sul corpo solo nella misura in cui non c’è più, solo nella misura in cui lascia un vuoto. L’energia pulsionale fa il giro intorno a questo luogo vuoto, nel buco che questo oggetto sottratto ha scavato sul corpo, nella zona in cui la cessione è avvenuta. È nel Seminario XI[14] che egli descrive il meccanismo pulsionale a partire dai vuoti che la sottrazione dell’oggetto (a) iscrive sul corpo: come una ferita comporta un’eccitazione sensoriale della parte lesa, il taglio mobilita un’energia che fa il giro intorno al vuoto scavato dall’oggetto perduto, senza mai poterlo inglobare; è su di essi, su queste soglie del corpo, che si fissa la pulsione. Il giro della pulsione intorno al luogo vuoto della cessione dell’oggetto (a) è il godimento. Esso è movimento di circuito intorno all’oggetto (a) ed è fuori significante, acefalo, irriducibile a una integrale Aufhebung in forma simbolico-immaginaria.
Diamo qui di seguito la raffigurazione della circuitazione della corrente pulsionale intorno all’oggetto (a) così come emerge dal Seminario XI[15].
 
 
   
 
 
Ora questo oggetto (a), preso in ostaggio dal fantasma di desiderio, porta inevitabilmente il desiderio a localizzarsi nelle zone del godimento pulsionale. Il desiderio si radica nelle pulsioni libidiche localizzate nel corpo, ossia laddove circuita l’energia di godimento
La precedente trattazione lacaniana del desiderio (Seminari V e VI) aveva in effetti tralasciato questo aspetto, che emerge nel Seminario XI. La denaturalizzazione del bisogno per effetto della domanda, infatti, è condizione necessaria per l’avvento del desiderio, ma non sufficiente. Per rendersi conto della necessità di aprire quest’altro vettore della genesi del desiderio, basta gettare un occhio sulla teoria delle pulsioni in Freud. Egli aveva indicato – oltre a quelle di autoconservazione, chiamate pulsioni dell’Io, ciò che sembra corrispondere in Lacan al bisogno[16] – le pulsioni libidiche, quelle legate alla riproduzione sessuata. Se quindi vogliamo trattare del desiderio rispetto all’energia che lo sostiene, occorre ricercare la sua genesi non solo sul fronte delle pulsioni dell’io, ciò che è avvenuto con la barratura del bisogno da parte della Domanda, ma anche su quello delle pulsioni libidiche, ossia in quell’energia che circuita sui bordi del corpo che ha ceduto l’oggetto (a).
Perciò il desiderio è sostenuto non solo dall’energia, dislocata dalla domanda e che origina dal bisogno (in termini freudiani: le pulsioni dell’Io), ma anche dall’energia pulsionale del godimento, innescata dal taglio dell’oggetto a (in termini freudiani: le pulsioni libidiche). Si apre quindi un nuovo campo d’indagine che porta inevitabilmente ad una ibridazione fra desiderio e godimento; questa ibridazione, come vedremo, è tutt’altro che una sintesi dialettica ed è percorsa da linee di instabilità.
Fondamentale per ricostruire il concetto lacaniano di godimento è questa memoria sensoriale[17] di aver subito una perdita, un taglio[18]: le pulsioni libidiche originano da uno svuotamento,  da uno strappo sul nostro corpo, che libera – e qui di nuovo è utile l’analogia con la ferita, suggerita peraltro da Al di là del principio di piacere – una iper estetizzazione, una sovreccitazione sensoriale.
Torniamo ora al desiderio. Abbiamo visto che l’energia desiderante, la spinta che ci porta perpetuamente verso altra-cosa e che promana dalla barratura operata dalla domanda sul bisogno, si localizza sui bordi vuoti del corpo che ha ceduto l’oggetto (a) e si fonde con l’energia pulsionale di godimento che lì transita. Ma in ultima analisi che cos’è che radica il desiderio nelle zone del godimento pulsionale? La risposta è chiara: la cattura dell’oggetto (a), perno del godimento, nel fantasma di desiderio.
Proviamo a ora a riepilogare schematicamente quanto detto.
  1. Il desiderio origina dalla barratura della Domanda sul Bisogno; esso ci porta perpetuamente verso altra-cosa.
  2. Questa spinta è tuttavia organizzata dal fantasma, che serve anche come risposta alla crisi di sparizione del soggetto nel simbolico e che lo situa in rapporto all’altro reale.
  3. Ora però il fantasma, che è chiamato a riparare il buco del simbolico, a fare da contropartita alla barratura di S e di A, è costruito proprio intorno alla perdita dell’oggetto (a), che viene prelevato dal reale e trasfigurato nell’immaginario.
  4. D’altra parte la cessione dell’oggetto (a) nei bordi vuoti del corpo scatena l’energia pulsionale del godimento.
  5. Il fantasma, nella sua presa immaginaria sull’oggetto (a), situa perciò il desiderio nei luoghi del godimento.
Il fantasma costituisce un unico plesso fra desiderio e godimento: è il fantasma che, catturando l’oggetto (a), localizza il desiderio nelle zone del godimento. Poiché l’oggetto (a) è preso in ostaggio, se così si può dire, dal fantasma di desiderio, esso impianta il desiderio stesso esattamente là dove circuita l’energia del godimento. Il desiderio dunque attecchisce proprio nelle zone di cessione dell’oggetto (a), nelle zone del godimento.
Non si deve tuttavia pensare ad una mediazione dialettica o ad una disposizione sillogistica in cui il fantasma faccia da termine medio: il plesso desiderio-godimento-fantasma rimane altamente instabile. Vedremo infatti che il godimento può mortificare il desiderio e che il desiderio può vivificare il godimento, mentre il fantasma, per un verso apre alla trascendenza del desiderio, in quanto singolare, proprio, mentre per un altro verso rimane sempre lo stesso scenario, facendosi così agire dalla dinamica di ripetizione del godimento.
Ma si potrebbe a questo punto chiedere: perché il fantasma di desiderio viene costruito come perdita dell’oggetto (a)? Perché il fantasma fa sempre riferimento a una perdita? La risposta è in parte già emersa: vi è una memoria sensoriale, profonda e arcaica, che ha ben presente questa mancanza reale ed il fantasma, che è chiamato a riparare la mancanza simbolica[19], ne è inevitabilmente attratto e portato a raffigurare la prima con la seconda. Dunque il desiderio, in quanto desiderio d’altra-cosa, finirà per ricercare l’oggetto perennemente dislocato della schisi fra bisogno e Domanda nei termini dei sostitutivi di questa perdita originaria dell’oggetto (a), andando a radicarsi proprio lì, in quelle zone del corpo dove quella è avvenuta.
Si ha dunque qui, grazie al fantasma che ha catturato l’oggetto (a), una sovrapposizione fra due mancanze: quella simbolica del soggetto come mancanza a essere, come aphanisis, e quella reale del soggetto privato di (a); ciò viene detto in un densissimo passaggio del Seminario XI[20].
Perciò, se con desiderio intendiamo il movimento incessante, che ci porta sempre vero altra-cosa, e con godimento intendiamo il movimento di circuitazione della pulsione, una ripetizione fuori dalla dimensione del senso, in cui l’energia si scarica e si ricarica automaticamente, possiamo vedere che essi sono sovrapposti e che l’oggetto (a) è contemporaneamente causa del desiderio e perno del godimento.
Esso è causa del desiderio, in quanto la sua perdita è condizione di possibilità per la costruzione del fantasma, ossia di ciò intorno a cui il desiderio si organizza: il desiderio si struttura intorno ad uno scenario immaginario (fantasma), che offre, sia pure entro la sua sceneggiatura, dei ritrovamenti sostitutivi della perdita originaria di (a). Ma l’oggetto (a) è anche  perno del godimento, in quanto centro vuoto di un circuito autoriferito in cui l’energia pulsionale si scarica e si ricarica continuamente, senza un senso. L’azione dell’oggetto (a), catturato dal fantasma, nel desiderio è centrifuga e votata alla trascendenza (la fuga verso altra-cosa), mentre nel godimento è centripeta e autoriferita. 
Ecco allora il risultato: intorno all’oggetto (a) si costituiscono e si sovrappongono desiderio e godimento, il movimento che apre al novum esperienziale, che cerca sempre altro, e la dinamica acefala di ripetizione, il circuito chiuso su sé stesso. La perdita originaria da una parte apre il soggetto alla serie dei ritrovamenti sostitutivi, virtualmente infinita, dall’altra lo chiude ad una circuitazione autoriferita. Desiderio e godimento sono dunque strutturalmente sovrapposti e si affrontano incessantemente: se il desiderio può vivificare il godimento, il godimento può mortificare il desiderio. L’inconscio è un campo percorso dalla forza trasformativa del desiderio e da quella conservativa del godimento.
Con una certa forzatura possiamo dare qui di seguito una rappresentazione grafica molto semplificata rispetto allo schema lacaniano (i nodi borromei che nella sua tarda ricerca allacciano simbolico, immaginario e reale) di tutto il plesso desiderio-godimento-fantasma
                                  

                                                                                              

Qui i cerchi stanno ad indicare la circuitazione: da una parte del godimento intorno all’oggetto (a), dall’altra del desiderio intorno al fantasma che ha catturato tale oggetto. È questa cattura, come si è detto più volte che innesta il desiderio nel godimento pulsionale. Le frecce stanno ad indicare rispettivamente il movimento centripeto del godimento, in cui il corpo pulsionale gode di sé stesso, e quello centrifugo del desiderio, in cui la costruzione fantasmatica dell’oggetto (a) originariamente perduto è cercata in altra-cosa e perpetuamente spostata.
 
5. Di nuovo sul fantasma
Siamo arrivati a questa conclusione: la sovrapposizione fra desiderio e godimento avviene proprio attraverso un fantasma che cattura l’oggetto (a), causa del desiderio e perno del circuito del godimento. Ma come può l’oggetto (a) innescare un desiderio che cerca incessantemente in altro i sostituitivi della perdita e al tempo stesso un godimento che si chiude in un circuito autoriferito?  
Ora ad agire la trascendenza verso altra-cosa e a farsi agire dalla ripetizione del medesimo c’è proprio il fantasma[21]. Esso è lo scenario che guida verso altra cosa, ma pur sempre lo stesso scenario, ciò che esprime la singolarità e la trascendenza del desiderio, la serie trasfigurata immaginariamente dei ritrovamenti sostitutivi, ma anche la fissazione che il godimento ripete (l’orchestra che suona sempre la stessa musica, con cui Freud in Al di là del principio di piacere, rappresenta la coazione a ripetere). Insomma il fantasma è non soltanto ciò in cui il desiderio si esprime, ciò che lo guida verso altra-cosa, ma anche ciò che si fa penetrare dalla dinamica brutale e acefala del godimento, assorbendone così i tratti di ripetizione. Insomma poiché l’oggetto (a) è causa del desiderio e perno del godimento e poiché esso è catturato dal fantasma, in esso troviamo la medesima duplicità.
Dunque è nello scenario costruito dal fantasma che il desiderio cerca gli oggetti sostitutivi della perdita, che li costruisce e li appetisce; ma il fantasma è anche il medesimo scenario. In altri termini il fantasma è uno stile della soggettività aperto all’integrazione del novum esperienziale, integrazione che permette forse una rielaborazione e una ridefinizione del fantasma; ma esso è al tempo stesso una fissazione, scenario identico, funzionale alla dinamica della ripetizione. In quanto stile e fissazione il fantasma si incastra fra desiderio e godimento.
La questione è qui molto semplice rispetto alle complesse categorie lacaniane e può essere espressa con linguaggio ordinario: quanto l’esperienza ci cambia? Le forze trasformative sono più o meno potenti di quelle conservative? In che misura, ricercando sempre nuovi oggetti di desiderio entro lo stesso scenario, il nuovo retroagisce sul vecchio e in che misura invece il vecchio addomestica il nuovo e immunizza ad esso?   
La convergenza di desiderio e godimento intorno al fantasma ci permette di individuare due elementi chiave della psicanalisi freudiana: da una parte la necessità di legare il quantum di eccitazione ad una soddisfazione allucinatoria, dall’altra la coazione a ripetere.
Lacan mostra infatti da una parte che il circuito intorno all’oggetto (a), costruito secondo il fantasma, serve proprio a legare l’energia pulsionale libera, impedendo che invada il corpo nella modalità della psicosi. Dall’altra fa emergere che questo circuito, dato il vuoto strutturale che la cessione dell’oggetto (a) ha costruito sul corpo, non solo scarica l’energia, ma la rigenera anche; la dinamica di ripetizione del godimento, dinamica totalmente acefala e fuori significante, è esattamente questa: la scarica e la ricarica dell’energia pulsionale. Il godimento, che qui è in gioco (Seminario XI), infatti, è parziale, profondamente diverso da quello della psicosi, che – sembra di capire –  ha luogo proprio perché l’estrazione dell’oggetto (a) non è avvenuta; la libido dunque, in quel caso, senza canali di scorrimento, invade integralmente il soggetto e si scarica in una “catastrofe dell’immaginario”[22]. Nel caso invece di questo godimento parziale, la libido viene canalizzata e il corpo pulsionale organizzato.
Questo doppio statuto, legare l’eccitazione ed esporsi alla coazione a ripetere, riguarda, di nuovo, proprio il fantasma: esso paga il suo ruolo di catalizzatore immaginario dell’energia pulsionale da legare, facendosi agire dalla dinamica di ripetizione con cui essa scorre; il godimento entra così strutturalmente nella vita del soggetto. Il fantasma però resta pur sempre una costruzione del desiderio e della sua fuga metonimica verso altra-cosa; dunque rimane permeabile alla trascendenza del desiderio stesso, alla sua apertura verso il novum esperienziale. In particolare vi è la possibilità che il desiderio, che viene sempre dall’Altro – Lacan è stato sempre chiaro su questo; alle sue spalle c’è comunque la Domanda – possa inserire l’oggetto (a) appunto nel campo dell’Altro. In questo senso forse trova una spiegazione l’enigmatica frase lacaniama sulla traversata del fantasma; nel fantasma in altri termini troviamo sempre lo stesso nodo: l’azione mortifera del godimento sul desiderio, ma anche quella vitalizzante del desiderio sul godimento.
L’ambiguità dell’oggetto (a) tra desiderio e godimento, infatti, si trasmette al fantasma: come si è visto esso per un verso innesca la ripetizione e contrasta dunque l’apertura del desiderio, per l’altro non è mai del tutto pietrificato e impermeabile al suo movimento incessante: se attraversato[23], può trasformarsi, da dinamica di ripetizione meccanica dello stesso, in stile d’essere del soggetto, in qualcosa che non fa da barriera al novum esperienziale, ma che permette anzi di integrarlo, in una identificazione che così, in qualche modo, si ridefinisce[24].
Naturalmente – e questo punto non deve rimanere sullo sfondo – la cattura dell’oggetto (a) nel fantasma non è integrale, non è una Aufhebung : la dinamica cieca e autoriferita della pulsione non è integralmente canalizzata e sussunta da esso. Ciò rende tutta la struttura della soggettivazione altamente instabile e per così dire a rischio.
Se guardiamo tutto il plesso desiderio-godimento-fantasma, possiamo rilevare, ancora una volta, che soggettivazione vuol dire contemporaneamente esser-soggettivato e soggettivar-si. Si tratta insomma di assumere l’inevitabile dinamica di ripetizione del godimento facendone, nei limiti del possibile, tenendo presente l’estraneità strutturale della pulsione al senso, una storia nuova, ibridandola a un desiderio inteso come apertura a qualcosa di diverso, esteriorizzando l’oggetto (a) nel campo dell’Altro[25]. Potremmo trovare qui in fondo lo schema sartriano del per-sé, la libertà, che per conquistarsi deve assumere l’in-sé, la fatticità, il passato, il dato, risignificarlo e agirlo rispetto al possibile. Qui la sfida sembra essere più radicale perché il godimento è e resta totalmente fuori significante.
Vedremo che in questo doppio statuto del fantasma immaginario, in cui il godimento mortifica il desiderio e il desiderio vivifica il godimento, risiedono tanto la presa del corpo nei dispositivi del capitalismo digitale quanto le sue possibilità emancipative.
 
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[1] Cfr. G. Miniagio, “Il problema della soggettivazione in Lacan”, in AAVV, Capitale e soggetto, SDF Edizioni, pp. 181-227; anche in Spazi di filosofia, 3, 2017: http://spazidifilosofia.altervista.org/17-soggetto-e-capitale-doc/29-il-problema-della-soggettivazione-in-lacan. Id.,  “Ancora Lacan. La ridefinizione del desiderio come desiderio d’altra-cosa”, in Spazi di filosofia, 6, 2020: https://spazidifilosofia.altervista.org/joomla/sezioni/soggetto-e-capitale/59-gabriele-miniagio-ancora-lacan-la-ridefinizione-del-desiderio-come-desiderio-d-altra-cosa. Id., “Il problema della soggettivazione in Lacan”, in AAVV, Capitale e soggetto, SDF Edizioni, pp. 181-227; anche in http://spazidifilosofia.altervista.org/17-soggetto-e-capitale-doc/29-il-problema-della-soggettivazione-in-lacan,
Id. “Il problema della soggettivazione in Foucault”, in AAVV, Capitale e soggetto, SDF Edizioni, pp. 229-259; anche in Spazi di filosofia, n. 4 – 2018, Dialoghi su Capitale, soggetto, nomadismo e mito,
https://spazidifilosofia.altervista.org/joomla/sezioni/soggetto-e-capitale/19-gabriele-miniagio-il-problema-della-soggettivazione-in-foucault. Id., “Ancora Foucault. Capitalismo digitale, neoliberalismo, processi di soggettivazione”, in Spazi di Filosofia, 8, 2021;
[2] Cfr. G. Miniagio, “Il problema della soggettivazione in Lacan”, cit., e Id.,  “Ancora Lacan. La ridefinizione del desiderio come desiderio d’altra-cosa”, cit.
[3] J. Lacan, «Fonction et champ de la parole et du langage en psychanalyse», in Ecrits, Editions du Seuil, Paris 1966 .; trad. it. «Funzione e campo della parola e del linguaggio nella psicanalisi», in Scritti, a cura di G. Contri, Einaudi, Torino; pp. 230-316.
[4] Cfr. J. Lacan, Le Séminaire. Livre V. Les formations de l’inconscient (1957-1958), Seuil, 1998. Trad. it. a cura di A. Di Ciaccia, Libro V Le formazioni dell’inconscio (1957-1958), Einaudi, 2004
[5] Cfr. G. Miniagio,  “Ancora Lacan. La ridefinizione del desiderio come desiderio d’altra-cosa”, cit.
[6] Ivi, p. 419. D’ora in poi S V
[7] SVI 434.
[8] S VI 435.
[9] Nel Seminario XI Lacan gioca fra la parola separazione e il latino se parere, partorire sé stesso. Cfr. infra.
[10]  SVI 446
[11] S VI 435.
[12] S Vi 441.
[13] S VI 455-6
[14] S XI 203.
[15] Ibidem.
[16] Moustapha Safouan, Lacaniana II, Librairie Arthème Fayard, 2005; p. 56.
[17] Cfr. M. Recalcati, Desiderio, godimento, soggettivazione, Raffaello Cortina, Milano 2012; p. 275
[18] Ivi; p. 408.
[19] Il fantasma secondo Lacan è il supporto del desiderio; va dunque a insistere nel luogo della perdita (S VII p. 125). Cfr. anche il commento a questo passaggio in  M. Recalcati, Il vuoto e il resto, Mimesis 2019; 123.
[20] Seminario XI p. 233.
[21] Possiamo immaginare che la proiezione del fantasma sull’oggetto (a), che è un vacuum, sia qualcosa di simile ad un palcoscenico senza scenografie, in cui il solo spettacolo che avviene è un carosello di luci, la proiezione di fasci cromatici proiettati da fari che attraversano il suo spazio vuoto.
[22] Cfr M. Recalcati, Jacques Lacan. La clinica psicoanalitica: struttura e soggetto, Raffaello Cortina, Milano 2016; cap. 2.
[23] Enigmatica espressione di Lacan che ricorre una sola volta in S XI 277.
[24] Su questo doppio statuto del fantasma v. M. Recalcati, La clinica psicoanalitica. Struttura e soggetto, Raffaello Cortina, Milano 2016, pp.  273-5.
[25] «L’amore come nodo che unisce il desiderio al godimento è una possibilità della sublimazione. Nell’amore, come nel desiderio, il soggetto è mancante e l’oggetto vien situato nel campo dell’Altro». Cfr. M. Recalcati, Desiderio…, cit., p. 323.