Marco Ciccarella | Dentro la produzione di identità

Traccia 1.
Autopoiesi e rovina
 
Specchio e ascesi. L’autopoiesi del soggetto si residua nei sui margini scomposti, nella riflessione di un Sé sempre oltre, sempre altro, sempre dopo. La rincorsa ad Altro è la resa alla cosa, alla sua barbarie, al suo disarmo egologico. Doveva essere ed è stato, doveva cadere ed è caduto, il Soggetto. Mondo-delle-cose ed abisso. Il nomadismo identitario si riduce ad esproprio e perdita, di tracce, di maschere, di Sé, di simboli, di frodi, di nulla. È misura tragica il verso del proprio, estatico fraintendimento di una breccia creduta varco, di una colonia risoltasi in frammento identitario, i tanti Sé perduti nel vuoto incolmabile di un mondo-delle-cose lucidato a festa. Abbiamo un qui, aspettiamo un dopo. La consumazione dell’autorità soggettiva avviene ora, tra i detriti e gli specchi di un fallimento autopoietico, nel raggiro di una moltiplicazione di superficie, una indebita estensione di propri scaduti in altro. Se l’ambizione era la trasvalutazione del Sé in governo dell’Intorno, la caduta autopoietica diviene misura di uno svuotamento unilaterale, dall’Interno all’Intorno, da Sé ad Altro. Il mondo-delle-cose si costituisce in forma simbolica eteronoma. Specchio e ascesi, caduta e sottrazione. Moltiplicazione di Sé o frammentazione? Unità o raggelata centrifuga identitaria? Entropia irriflessa di uno status che da inclusivo diviene esclusione di un Sé irriconosciuto, tra distese cosali e compressioni simboliche, paradigma di moto che suggerisce direzioni inesprimibili. Ancora fuori, ancora oltre, improprio e perduto. Inintenzionale è l’autopoiesi dei riflessi, dei simboli identitari eretti su oggetti qualsiasi, accolti e graziati, dilaniati e predati. Eppure lo svuotamento muove da qui, da un nomadismo irrisolto, dalla confusa matrice del limen, dal varco e dai resti, dalle maschere irriconosciute, dal continuo rilancio di una messa in scena di un proprio fantomatico, infusione di desiderio, produzione di identità, proiezione di vite. Il voler-essere si misura nella risposta dell’Altro, la progressione autopoietica desiderante innesca un riflusso tra Interno e Intorno, il riflesso si fa Io, l’Io si perde nella frammentazione creduta palingenesi. L’estensione del soggetto si struttura in oltre incontrollabile, è un cambio, vertice conflittuale in cui desiderio e maschera si popolano reciprocamente in una sequenza simbolica di potere, il poter-essere. Il poter-essere è fuori, limen proiettivo di un oltre già stato. È caccia all’Altro, espressione identitaria, autopoiesi nomadica, passaggio cosale, proprietà feudale di ritenzioni e segni, simboli e temporalità à rebours. Io come sostituzione continua di identità, modo di produzione autopoietico, ancora Altro, sempre Sé. Altro-per-essere, essere-per-Altro. È un’uscita su se stessi, è uno scapparsi sempre sopra, allontanarsi verso, non da. Il mondo-delle-cose è la struttura costituente della caduta, il nome squalificante, la piega dell’oltre. L’identità è compiuta, per e con la messa in altro del Sé, con il simbiotico porsi fuori, con la frode coscienziale del possesso. Come si trasforma l’estroversione centrifuga in demolizione centripeta? Da dove passa la breccia del fuori organizzato? Come si disarticola l’effimera armonia autopoietica? C’è mai stata un’armonia di quell’oltre? Interno e Intorno si disambiguano nella direzione prevista? Biunivocità e rappresentazione, maschera e proprietà, varchi e fughe. Vuoto a rendere. Debito e identità.
 
 
Traccia 2.
Dal mondo-delle-cose al regno del Capitale
 
Declino e ritorno. Lo sgretolamento del proprio, di inizio eteronomo, di fine autonoma. Ancora un oltre, definito proprio, inganno e specie, che scivola su archetipi da catalogo, mostra di un Sé disarticolatamente improprio, maschera a nolo, finzione rappresentativa di un mondo-delle-cose sfuggito alla presa. Regia sollecita di produzione identitaria, eteropoiesi soggettiva di sostituzione. Oltre per altro, Altro per oltre. Il mercato che si rigenera in creazione sempre nuova, sempre ripetuta, nelle infinite combinazioni di codici che marcano assenze, di strappi che muovono abissi, di varchi che segnano fughe, di vendite che inventano volti. Il Capitale. Da qui inizia la conversione da un Interno a un Intorno ormai altro, da sempre già altro, statuto egologico dell’Io, creduto un dopo, presente a un prima. Il poter-essere si struttura come la forza centripeta per eccellenza, il mondo-delle-cose come il non-luogo di caccia, l’autopoiesi come l’esca perfetta di un Sistema che ha saputo attendere con pazienza. Attesa di cosa? Del rovesciamento della direzione identificativa, il fuori che modella il dentro, l’Intorno che solleva l’Interno, l’Altro che misura il Sé. La struttura simbolica del mondo-delle-cose, l’autopoiesi del soggetto e, infine, l’illusione prospettica tra costituente e costituito dileguano sul fallimento della costituzione identitaria dell’Io. È una breccia, è il varco che si richiude dietro le spalle, è la scoperta di un disegno genetico che decodifica il soggetto e lo ricompone in proiezioni sillabate, indifferenziali, icone all’ingrosso di una soggettività che aveva creduto nella frammentazione coloniale, che di quella frammentazione aveva fatto la propria maschera più vera. Detriti di Sé. Raccolta di propri, es-proprio di significanti, di limiti simbolici, di codici inapplicabili. Su questo terreno si muove il Capitale, su un esproprio identitario, su una maestosa produzione di identità mimetiche. Plastica coloniale rovesciata sui Sé decodificati, violando la volontà di poter-essere di ogni Io, piegando la dimensione centrifuga dell’autopoiesi a serialità indifferenziale, a modelli legittimati dalla ripetizione. Indifferenza e ripetizione. Vendita e celebrazione. Di vuoti, di dogane, di esequie autocostitutive. L’inganno è la sostituzione di pezzi di Sé con cose di nulla, è la parodia di un cammino autopoietico, è il varco che diviene buca. Il mondo-delle-cose si è alienato in vendita di Sé, come modo produttivo di simulacri egologici, di abiti coscienziali, di identità fallimentari. È un esecutore fallimentare il Capitale, avido di sogni che volge in sottrazioni. Questo è il dispiegamento autopoietico del soggetto, la maestosa produzione di identità, sottrazione identitaria, paradossale corsa a perdere, abisso dell’indistinzione simbolica. Malattia del divenire, altro e oltre, prigione identitaria della mutazione, proprietà trasfigurata di intorni voluti. La macchina agisce sul proprio improprio, sull’istigazione al poter-essere, su una disidentificativa trasfigurazione iconografica. Il modello è in vendita. È oggetto. È archetipico specchio del Sé. L’autopoiesi trascorre in istanti di riproduzione, unità di riproduzione continua, quando ogni proprio è già es-proprio, ogni genesi è già sottrazione, ogni azione è già reazione. L’intorno che vince, disposto e venduto, trappola di un oltre non pervenibile, il poter-essere più improprio, alimentato da una rappresentazione mercantile dei pezzi di un Sé sempre disponibile alla copia, al plagio, alla frode, all’assenza referenziale. Dietro lo specchio. Genuflessione al prossimo me, a pagamento, a rimpianto, a debito. La disposizione dello spazio di acquisto è il dispiegamento del poter-essere, il mettere cose da Sé, ordinamento di luoghi che generano identici, identità trasfigurate a collezione. Autoinganno e trasposizione. Habitus, sempre.
 
 
Traccia 3.
La produzione di identità
 
La disposizione di un catalogo identitario, pezzi e prezzi di Sé, è la via costitutiva alla servitù. È un regno declinato dal valore di scambio simbolico, quello del Capitale, tra promesse di palingenesi e incubi a debito, esposizione di poter-essere a pagamento, autopoiesi di inganni, piuttosto che di soggettività costituita. Ma il simulacro è specie, lo specchio è sostanza polimorfa, il riflesso è eco di un Sé desiderato. La disposizione è limen, confine tra volente e voluto, tra status e poter-essere, collezione di riflessi identitari, proprio simbolico, altro s-confinato. Le maschere sono esposte, l’acquisto è la realizzazione del poter-fare, di un poter-essere autocostituente, l’illusione di abiti identitari che si collezionano sempre dalla prospettiva di un intorno irredimibile. L’irraggiunto di norma. Confine e varco. Il peccato di moltiplicazione speculare, un assetto che si stratifica ostile e meccanico. È macchina produttiva, è speculum desiderante, è raffica di Sé agonizzanti. Ma l’oggetto non è mai solo, accompagna spettri e voci, rappresenta modi di produzione identitari, inganni compulsivi, nomadismo dileguante. L’identità è la confezione della maschera, è scelta di un poter-essere già stato. Eppure inebria. La produzione di identità accoglie volontà e denaro, debiti continui, identitari e bancari, poiché vìola il principio di identità in cambio del poter-essere tutto, di poter-essere tutti. Composizione o dissolvenza? Il mercato identitario condanna o assolve? Registra o cancella? Produce sintesi, articola dissolvenze autopoietiche, il non-essere-più che è esso stesso una forma di essere-ancora, composto perché dissolto, assolto perché condannato, registrato perché cancellato senza appello. Il soggetto è il detenuto in maschera, centrifugo di maschere e detriti, le sue tracce sono l’oltre di Sé, lo status di un altro, la proiezione di riflessi non corrisposti, la merce in bella vista. Il soggetto è autocostituzione della sconfitta comunitaria, è l’invenzione del mercante, è l’habitus rimosso e sostituito. Ma dietro a composizione e dissolvenza, a condanna e assoluzione, a registrazione e cancellazione, si misura la trama di una vendita all’ingrosso, si intravede la disposizione di un ordine che celebra programmazione di massa. Lo scambio simbolico è l’accesso al voler-essere più improprio di ogni Io, la sua seduzione, il suo inganno, la sua funzionalità. La coscienza è funzione di massa, la massa è funzione di potere, il potere è funzione di Capitale. Incisione e struttura, raccolta e profitto. La maschera si promuove a diffusione di identità sollevate, mai corrispondenza, sempre celebrazione produttiva di scambi simbolici a perdere, di controllo per mimesi, di rifugi per denaro. Unicità e serialità si sottraggono reciproche, scomposizione di multipli, composizione di identità. Io che aspira ad Altro, Altri che compongono l’Io. Il rituale autopoietico si sutura tra le pieghe intersoggettive, condizionati riflessi di un oltre codificato e venduto, valore di scambio simbolico che sceglie nomi e immagini, codici di appartenenza e distinzione, uno e molti, vuoto e pieni. Dov’è il regno? Che ne è stato del mondo-delle-cose? È. Ed è disposto, srotolato dinanzi al desiderio. Campionario di identità ad ogni costo, avamposto di registrazione di Sé, sopraffazione seriale. La produzione di identità. Uno e molti, nessuno e dispersi. L’autocostituzione identitaria nasce come già persa, artefatta, massificata e archetipica, rigurgito di una pianificazione indifferenziale, dove oggetti diventano maschere, dove volti si consegnano al nemico. Il volto del Capitale, di una sottrazione perpetua, di una somma di merci. Sovrapproduzione sottrattiva che erige simulacri identitari, sovrapposizione di resti, che non tornano, che fuggono, che si ammassano, che scompaiono. Il resto si fa varco, il varco è già fuga, la fuga è già resa, l’identico è indifferenza. E allora cosa si compra? Quale scambio simbolico si dispone al baratto? Io per sogni, sogni per soldi, soldi per segni, segni per resi. La produzione di identità aspira coscienze, sostituisce autopoiesi con modelli, cancella maschere con detriti. È una discarica di segni la resa dell’Io, che si piega all’infinito, si riduce a vuoto, si riempie a piacere, desiderio di un mondo-delle-cose, naufragio di Sé. 
 
 
Traccia 4.
Identità e ®egistrazione
 
La disposizione di un simulacro, spettro di Sé come procedura, cammino, superamento e stallo identitario, si disarticola in maschere comprate e mostrate in pubblico, comprate e mostrate in Sé. È la registrazione di un dopo autopoietico, di tracce egologiche da riscatto e ricatto, di un ordine proprietario, di un identico in rassegnato cambiamento. L’Io come registrazione di tracce, come allineamento di identici riveduti, autopoiesi mascherata di pezzi di Sé messi in fila, scontrino identitario di un catalogo a richiesta. Produzione e registrazione, identità e disarticolazione. Tracce prescritte, è un campionario iconografico quello del Capitale, che segna modelli egologici, accartoccia direzioni sociali, elabora archetipi indifferenzianti. È segno, valore di scambio simbolico, estasi autopoietica, è un esser-fuori, è un esser-mai-dentro al proprio Sé. Predestinazione di ovvio antropologico, sono e compro, compro e appaio, appaio e sono. Essere-comprare-apparire-essere si con-fondono nella costituzione eteropoietica di ogni identico, tracce da riprodurre a piacere, a piacere altrui, per altrui piacere, profitto di produzione, produzione di identità, identità di profitto. Il Capitale. Sua infinitezza programmatica, selezione di massa, l’imponente scambio simbolico nel più grande allevamento di desiderio identitario. Essere proprio per essere Altro, essere Altro per essere Sé. La registrazione amplifica il desiderio, riproduce coscienze, scarta detriti e riassembla maschere, ancora una volta, ancora e sempre disarticola in ripetizioni identici differenziali. È il segreto del Capitale, la riproduzione del consumo, la cura della ripetizione, il confinamento di ogni Sé. L’Io si dispiega in misure comprate e in modelli riprodotti, compra proiezioni e simboli in una smisurata preghiera di esser-altro. Questo è l’allevamento di desiderio, questa la produzione di identità che il Capitale allestisce. Essere e desiderio di massa che il Capitale produce, misura e dispone, conduce e declina, in una progressiva dissolvenza autopoietica, un oltre rinchiuso a giostra identitaria, un identico che non si è mai abbastanza. Identità e registrazione. Ripetizione ostentata di altri a cottimo, illusioni, distorsioni, relazioni dismorfiche. Ogni Io dispone i propri identici in coda a un desiderio, di essere e acquistare la maschera più propria. Sintagma di tracce e detriti, è il nomadismo identitario ridotto a pulsioni analogiche, soppressione di senso e di struttura, acquisizione di senso e di struttura. Altro e nuovo, oltre e dissolvenza. Ma questa continua dissolvenza analogica si corrode fino a un minus senza ritorno, è un Io corrotto e trasfigurato quello che desidera tra gli idoli identitari, quello che celebra un mondo-delle-cose risoltosi in trappola di specchi, dove ogni maschera è un pezzo di sé perduto. L’illusione dell’essere-comprato si arresta qui, ingranaggio di una registrazione afona di un Sé ormai ammaestrato. Il tutto reclama la vita delle parti, le parti arrangiano una sequenza di trasfigurazione identitaria finalizzata alla subordinazione e alla programmazione autopoietica di massa. Dispersione e sconfitta, subordinazione e acquisizione analogica.
 
 
Traccia 5.
Nomadismo identitario
 
Cul de sac e uscita. Se il mondo-delle-cose si rivela la cava della produzione identitaria del Capitale, nei suoi riflessi, nelle sue proiezioni, nei suoi simboli, il nomadismo identitario ne è cura e uscita. Il non-luogo di uno scontro, la registrazione mai possibile di Sé identitari, il moto perpetuo di attraversamento cosale, tra maschere sempre sfocate, tra tracce e detriti irriconosciuti e irriconoscibili. È la registrazione di una fuga, quella del nomade identitario, è l’esser-fuori da limiti codificabili, in una riproduzione continua di segni autopoietici, è la sovraesposizione che brucia la foto, interno e intorno che si con-fondono, è interno che resiste, è intorno che ritorna limen. Il non essere mai qui, disarticolazione di ogni produzione, assunzione di una registrazione perpetua di segno e di senso, l’oltre di una caccia identitaria, nemesi di un Capitale indifferenziante. Contro il Capitale. Nomadismo identitario. Come scrittura, come anti-produzione, come registrazione di loop identitari, il ripetersi, il riflesso mancato di una strada chiusa, il passare oltre, la maschera che è un nuovo volto, il verso che è lo sconfinamento di un varco. Io non sono. Identico irriproducibile da tipizzazioni universalizzanti, ἄπολις. Chi sei? Il prossimo passo, la prossima maschera, il prossimo varco, il prossimo identico. Sono già dove non sarò mai, condizione di poter-essere, il disarmo eteropoietico, il catalogo svuotato, la merce resa, ghost track. Rumore bianco. Nomadismo identitario. Arrivo e ritorno, ἠχώ, anomalia impropria, è il rilascio cosale, la sua disaccumulazione, il segno sfocato di una sistematica disarticolazione dei codici identitari. La polarizzazione del Selbstaufheben è una traccia, una registrazione immemore, il mio contrario e il mio doppio, nella duplicazione, nella registrazione, nella produzione, nella cancellazione, nell’esecu-zione irrintracciabile di un moto asistemico. Il nomade identitario raccoglie i propri pezzi tra le pieghe della produzione deterritorializzata, è la dissolvenza di un reato di moltiplicazione, è l’uscita da una disposizione di regime, è l’inviolabilità autopoietica del sogno di Sé, la sua palingenesi, il suo oltre, la sua maschera più bella, il suo volto più oscuro. Luce e rabbia, oscurità e identità. Rumore bianco.