Gabriele Miniagio | Ancora Lacan. La ridefinizione del desiderio come desiderio d’altra-cosa

1. Il desiderio al di là della domanda
Si è visto che in Lacan soggettivazione vuol dire al tempo stesso esser-soggettivato e soggettivar-si1. Questa duplicità di significato è stata rinvenuta in ognuna delle fasi della sua teoria, che convenzionalmente si sono tracciate: quella hegeliana-kojèviana, quella strutturalista e quella incentrata sul tema del godimento.
Occorre ora ritornare sulla seconda2 per far emergere meglio il mutamento di statuto a cui va incontro il desiderio. Infatti, per quanto Lacan mantenga come punto fermo che il desiderio viene dall’Altro e che il godimento viene dalla Cosa3, bisogna precisare che, a partire dal Seminario V e dagli scritti La significazione del fallo4 e La sovversione del soggetto5, il desiderio mostra un aspetto diverso: esso non è soltanto desiderio dell’Altro, ma desiderio di altra-cosa, ricerca di una soddisfazione diversa da quella simbolica6. Nella prima fase, fortemente segnata da Hegel e da Kojève, il desiderio era desiderio di essere desiderato, riconosciuto, desiderio di quel segno che sostiene il soggetto nella vita psichica e che testimonia della sua singolarità insostituibile, desiderio, insomma, di quella parola che viene dall’Altro e che dice a ciascuno: tu sei qui. Ora si configura piuttosto come un resto che residua sul corpo a causa dell’entrata nel linguaggio, una spinta in cui si esprime la singolarità del soggetto, al di là della domanda e della dialettica del riconoscimento. Questo punto era rimasto sullo sfondo e deve ora essere ripreso proprio in relazione alle dinamiche soggettivanti del capitalismo.
 
2. Bisogni, domanda, desiderio.
Si è visto che nella preistoria della soggettivazione il bisogno deve essere detto, significato. Il grido del bambino e della bambina viene interpretato come segno; essi entrano così in una catena significante che, per quanto elementare, si è comunque istituita. Per questa strada la domanda si modifica, diventa appello all’Altro perché esso, oltre a dare l’oggetto del bisogno, dia un segno della sua presenza e del suo accudimento. La domanda diventa domanda d’amore. Essa infatti non chiede una cosa, chiede nessuna-cosa, chiede quel niente, quel vuoto che è lo spazio desiderante dell’Altro. È a partire da qui che Lacan imposta la ridefinizione del desiderio: poiché la spinta del bisogno transita attraverso la domanda, esso si impregna della sua assolutezza, cioè del suo esser sciolta dalla soddisfazione in un oggetto, il quale di per sé è cosa e non segno della presenza e della risposta dell’Altro.
Questo è un passaggio importante, che occorre sottolineare: non è che sul primo versante c’è il bisogno, l’oggetto, e sul secondo la domanda, l’Altro; bisogno e domanda sono ibridati: il bisogno passa attraverso l’assolutezza della domanda d’amore, se ne imbeve e per questo rimane insoddisfatto dall’oggetto primitivo. In altri termini il bisogno, impregnandosi del carattere assoluto della domanda, assorbe il suo diniego a farsi soddisfare completamente da un oggetto in quanto tale.
Ed è qui che avviene un secondo punto di svolta: malgrado questa impossibilità di soddisfarsi in un oggetto, il bisogno continua ad avere alle proprie spalle la spinta organica verso qualcosa di particolare, verso qualcosa che ha comunque lo statuto dell’oggetto; perciò la tensione non può essere soddisfatta neanche dal segno che risponde alla domanda, segno che è e rimane una non-cosa. La spinta allora è destinata a subire, per l’azione ininterrotta della domanda sul bisogno, una deviazione continua, una dislocazione (Verdrängung)7; questa spinta deviata, che non perde la sua mira intenzionale verso qualcosa di singolare, è appunto il desiderio, che passa da un oggetto all’altro senza potersi soddisfare. Vedremo più avanti che il punto di stabilizzazione del desiderio è paradossalmente l’immaginario, la costruzione di uno scenario, il fantasma, in cui esso si cristallizza in una forma determinata; il fantasma darà al desiderio del singolo una struttura psichica di fondo.
La genesi del desiderio avviene perciò in questo modo: la domanda annulla tutto ciò che di particolare le può essere dato per cercare la presenza dell’Altro, di fronte a cui ogni oggetto che non sia offerto come segno si rivela inadeguato. Tuttavia la forza originaria e organica del bisogno continua a spingere nella direzione della singolarità, solo che questa cosa singolare non c’è più, proprio perché è stata annullata dalla domanda. Questa spinta, non trovando né l’oggetto primitivo né il segno, sarà allora continuamente spostata su altra-cosa: appare così il desiderio.
Siamo dunque di fronte a un campo in cui si combinano due forze: la domanda agisce sul bisogno annullando l’oggetto primitivo; il bisogno continua però agire come spinta verso qualcosa di particolare; questa spinta verso qualcosa di particolare viene allora deviata dalla meta originaria, dislocata in un altrove continuo: siamo così di fronte al desiderio come desiderio d’altra-cosa.
Che cosa significa tutto ciò? Nell’azione reciproca di domanda e bisogno si genera la tensione verso una cosa particolare, richiesta però con la stessa assolutezza con cui nella domanda si chiede il vuoto desiderante dell’Altro; il primo aspetto rende impossibile una soddisfazione esclusivamente simbolica, il secondo rende impossibile una soddisfazione esclusivamente organica. Insomma la domanda deforma il bisogno senza però dargli in cambio la sua propria modalità di appagamento, che dovrà essere cercata sempre in un'altra-cosa. Qui sta il desiderio nella sua fuga metonimica attraverso gli oggetti.
 
Il desiderio, quale che sia, allo stato di puro desiderio, è qualcosa che, strappato dal terreno dei bisogni, prende forma di condizione assoluta rispetto all’Altro. È il margine, il risultato della sottrazione per così dire dell’esigenza del bisogno rispetto alla domanda d’amore. Inversamente il desiderio si presenterà come ciò che, nella domanda d’amore, è ribelle a ogni riduzione a un bisogno, perché in realtà non soddisfa nient’altro che se stesso, cioè il desiderio come condizione assoluta8.
 
Il desiderio non è né appetito di oggetti organici, né di segni, oscilla in uno spazio virtuale che si colloca tra bisogno e domanda.
 
Il desiderio deve prendere posto e organizzarsi nello spazio virtuale tra l’appello del soddisfacimento e la domanda d’amore. Per questo non possiamo che situarlo in una posizione sempre doppia in relazione alla domanda d’amore, contemporaneamente al di qua e al di là, a secondo l’aspetto con cui consideriamo la domanda – domanda in rapporto a un bisogno o domanda strutturata in termini di significante9.
 
I bisogni, dice Lacan, sono al tempo stesso alienati e deviati. I termini non sono casuali. Che i bisogni siano alienati vuol dire che essi devono passare attraverso la domanda. Non vi è quindi l’automatismo stimolo-risposta, poiché il transito attraverso le leggi del grande Altro, il Codice, impone il suo ordine al bisogno10, la cui soddisfazione viene differita e assoggettata alle modalità che esso prevede. È questo il campo, indagato magistralmente da Hegel e da Marx, del sistema dei bisogni, ossia di un sistema storico sociale eccedente l’ordine naturale. Ora la trasformazione del bisogno che interessa a Lacan riguarda esclusivamente l’ambito psichico: in questo caso denaturalizzazione del bisogno vuol dire ibridazione alla domanda, ossia la necessità di fare i conti con lo scambio simbolico. Invece che i bisogni siano deviati vuol dire che l’oggetto primitivo, proprio per quell’alienazione che marchia l’ordine naturale con l’ordine simbolico, non basta più, avendo la domanda deformato il bisogno. Ma come abbiamo visto questo movimento non si conclude con una entrata trionfale nel sistema della cultura, in una soddisfazione integrale nel segno; i bisogni non sono negati-trasformati-elevati da un meccanismo dialettico (Aufhebung), essi conservano invece la loro spinta verso qualcosa di particolare, che non è più l’oggetto primitivo. Nel corpo resta qualcosa che resiste ad una soddisfazione solo simbolica nella relazione intersoggettiva o solo organica.
 
Con questo la domanda annulla (aufhebt) la particolarità di tutto ciò che può essere accordato, tramutandosi in prova d’amore, e le soddisfazioni che ottiene per il bisogno si sminuiscono (sich erniedrigt) a non essere altro che lo schiacciamento della domanda d’amore. […] Vi è dunque la necessità che la particolarità così abolita riappaia al di là della domanda. E vi appare infatti, ma conservando la struttura celata dal carattere incondizionato della domanda d’amore11.
 
Diversamente che in Hegel e in Marx il bisogno non è superato dialetticamente, non subisce una Aufhebung. Il desiderio è piuttosto resto, continua deviazione, ininterrotta erranza di un essere organico fatto passare attraverso il significante. È il prodotto ibrido, non dialettico, del rapporto fra domanda e bisogno. La particolarità ritorna, avvolta, per così dire, dal carattere incondizionato della domanda, che ha già annullato la sua soddisfazione primitiva, ed è dunque spostata su altra-cosa. Ecco allora il carattere strutturalmente complesso del desiderio:
 
Il desiderio non è né l’appetito della soddisfazione né la domanda d’amore, ma la differenza che risulta dalla sottrazione della prima dalla seconda, il fenomeno stesso della loro scissione (Spaltung)12.
 
La tendenza a soddisfare un bisogno si sottrae alla domanda d’amore, la sua urgenza costituisce una forza che continua a operare. Se prima era emersa l’influenza della domanda sui bisogni, l’annullamento dell’oggetto, l’impossibilità della soddisfazione solo organica, ora emerge l’azione contraria, l’impossibilità della soddisfazione simbolica. Il desiderio si configura così come la risultante di due forze, domanda e bisogno, come nella regola del parallelogramma.
 
Ciò che nei bisogni si trova quindi alienato costituisce una Urverdrängung , perché non può, per ipotesi, articolarsi nella domanda, ma appare come un pollone, che è ciò che nell’uomo si presenta come desiderio (das Begehren)13.
 
Il carattere deviante del desiderio è espresso efficacemente nella metafora del pollone: ad una corretta osservazione l’albero non si presenta con quella regolarità di diramazioni dal tronco con cui lo descriveva Cartesio, ma mostra direttrici devianti; analogamente il desiderio umano ha qualcosa di strutturalmente ingovernabile, incalcolabile, imprevedibile, che non è né dell’ordine dell’animalità, né dell’ordine della normatività sociale; esso non è né il prodotto dell’ordine naturale né il prodotto dell’ordine simbolico, ma è il resto dell’azione di questo su quello e si configura come una singolarità.
 
La fenomenologia che risulta dall’esperienza analitica è di tale natura da dimostrare nel desiderio il carattere paradossale, deviante, erratico, eccentrico o scandaloso per cui si distingue dal bisogno14.
 
3. Desiderio, divenire, singolarità
Il desiderio non ha un oggetto a cui sia teleologicamente indirizzato, come accade invece per il bisogno: fame e cibo formano una totalità già in anticipo regolata dall’esistenza organica. Il desiderio invece non si innerva in nessuna teleologia, non trova già predelineata la sua direzione e trascorre così da un oggetto all’altro; la mancanza che lo muove, dovuta all’entrata nel linguaggio e all’azione deformante della domanda, che annulla ogni oggetto di soddisfazione, è strutturalmente incolmabile. In questo senso Lacan può dire che il desiderio è metonimia della mancanza a essere: se la metonimia è la linea virtualmente infinita degli oggetti dati nella dimensione della contiguità, il soggetto trascorre questa linea, eleggendo ora l’uno ora l’altro, spostandosi da elemento a elemento, secondo quel meccanismo che Freud ha magistralmente analizzato nel transfert.
In questo movimento non dobbiamo vedere solo la cattiva infinità, l’orcio forato di cui parlava la saggezza antica, ma anche l’aspetto della vitalità, della trascendenza rispetto tanto alla teleologia dell’organismo quanto alla normatività sociale, al dato, che, in modi diversi, hegelismo, marxismo ed esistenzialismo hanno sempre rivendicato come cifra caratteristica della condizione umana. Il desiderio è quindi trascendenza, spinta vitale verso qualcosa di nuovo, apertura. È proprio grazie al desiderio che lo abita che il soggetto può aprirsi al novum e ai contraccolpi che esso comporta sulle identificazioni pregresse, che può essere una permanente messa in questione di sé stesso. Senza questa spinta vitale il soggetto sarebbe pietrificato, l’esistenza già sempre decisa. È grazie al desiderio che non c’è un destino, un sé mitico – in senso adorniano – che si ripete, ma un essere sé stesso che vuol dire divenire sé stesso, avere non una natura, ma una storia.
Inoltre il desiderio è – lo abbiamo visto – espressione della singolarità, evento non deducibile dall’essere organico né dalla normatività sociale. Di qui la necessità etica, che emergerà nel Seminario VII, di assumere il proprio desiderio: avete voi agito conformemente al desiderio che vi abita? L’appuntamento col proprio desiderio è l’appuntamento con la propria singolarità, con il proprio divenir sé stessi.
Fintantoché ci si mette nella posizione di colui/colei che soddisfa la domanda dell’Altro, la soggettivazione, la singolarità, non è raggiunta. Di qui anche la polemica di Lacan contro ogni declinazione normativa, adattativa, disciplinare della psicanalisi. Di qui infine il distacco della nozione di desiderio da una dimensione di patologica disponibilità, di autoannullamento nell’attesa della risposta dall’Altro (l’ambigua nozione di oblatività genitale contro cui Lacan a più riprese polemizza).
È evidente, in queste pagine densissime, il tema freudiano della pulsione, della sua differenza rispetto all’istinto. Ma è anche evidente il tentativo di Lacan di esplorare, senza rimuoverla, senza risolverla unilateralmente, l’opposizione fondamentale con cui Freud caratterizza l’inconscio: da una parte il Trieb, il modello energetico delle cariche libere e da legare, che in Al di là del principio di piacere trova il suo luogo di elaborazione principale, dall’altra il modello simbolico de L’interpretazione dei sogni, con le sue operazioni di condensazione, spostamento, raffigurazione; da una parte insomma l’inconscio come macchina pulsionale, dall’altra l’inconscio che parla come un linguaggio. Riprenderemo questo discorso alla fine.
Non deve sfuggire, in questa ridefinizione dello statuto del desiderio, la metamorfosi radicale a cui va incontro l’Altro, che non è più il polo del riconoscimento dialettico e simbolico, ma, molto crudamente, oggetto del desiderio.
 
Accedendo al posto del desiderio, l’altro […] diviene totalmente oggetto, in quanto strumento del desiderio. Il problema è mantenere compatibili le due posizioni. [capoverso] Da una parte c’è l’Altro, in quanto luogo della parola, quello al quale si rivolge la domanda, quello la cui irriducibilità radicale si manifesta nel fatto che può dare l’amore, cioè qualcosa che è tanto più totalmente gratuito in quanto non c’è alcun supporto dell’amore, poiché, come vi ho detto, dare il proprio amore è dare niente di ciò che si ha, poiché proprio in quanto non lo si ha che si tratta dell’amore. Ma c’è discordanza tra ciò che c’è di assoluto nella soggettività dell’Altro che dà o non dà l’amore, e il fatto che per l’accesso a lui come oggetto del desiderio è necessario che egli si faccia totalmente oggetto. È in questo scarto vertiginoso, nauseante per chiamarlo col suo nome, che si situa la difficoltà di accesso nell’approccio al desiderio sessuale15.
 
4. I tre tempi dell’Edipo e il grafo del desiderio.
Si è visto che la frattura rispetto alla fase hegeliana-kojeviana sta nel dislocare il desiderio al di là della domanda.
 
Il soggetto riconosce un desiderio al di là della domanda, un desiderio non adulterato dalla domanda, lo incontra, lo situa nell’al-di-là del primo Altro al quale rivolgeva la sua domanda, diciamo, per fissare le idee, la madre16.
 
Come avviene questa dislocazione? Grazie alla logica inesorabile della castrazione.
Dell’Edipo Lacan individua tre tempi. Primo tempo. È quello che si stabilisce sul gradino più basso del grafo del desiderio, con uno sfondo non ben delineato. Il bambino si pone nella posizione di oggetto del desiderio della madre, ma esso gli appare qualcosa di instabile e capriccioso: la madre va e viene (fort, da!), il suo desiderio è un enigma: non vuole solo me; che cosa veramente vuole?
 
 
Se osserviamo il grafo vediamo alcune cose interessanti: l’intenzione significante del soggetto passa attraverso il codice, la langue. Colei che occupa la posizione di detentore del codice è l’Altro materno. Dal codice si genera così un messaggio (M) cui fa seguito una risposta che ritorna sul codice. In basso, di fronte a ego, il suo desiderio che è desiderio di essere oggetto del desiderio della madre. Al di là di questo primo piano in cui avviene il discorso con la madre, c’è un piano altro a cui il soggetto non ha ancora accesso; per questo è tratteggiato. Vedremo che quel piano ulteriore è il discorso del padre, che permetterà l’accesso compiuto al grande Altro della civiltà e della cultura, distruggendo l’esclusività della relazione duale. Non essendo chiaro il retro-piano, il messaggio della madre è strutturalmente ambiguo. Il soggetto è qui assoggetto17, il suo desiderio rimane incastrato in una logica duale.
Secondo tempo. Qui la domanda del soggetto è rimandata ad una corte superiore18: si incontra la Legge del padre come colui che proibisce. Nel secondo livello del grafo il suo messaggio è chiaro: no!
 
 
Tale messaggio non è semplicemente tu non giacerai con tua madre, indirizzato già a quest’epoca al bambino, è anche un tu non riassorbirai il tuo prodotto indirizzato alla madre19.
 
Questo ha come contraccolpo che il desiderio venga ridefinito: occupare la posizione di oggetto del desiderio della madre è proibito.
 
Infatti solo nella misura in cui il bambino è sloggiato, e per il suo bene, dalla posizione ideale di cui lui e la madre potrebbero soddisfarsi e in cui egli assume la funzione di essere il suo oggetto metonimico che può stabilirsi la terza relazione, la tappa seguente, che è feconda20.
 
Nel processo di elaborazione simbolico-immaginario, la madre è marcata da una mancanza e da un desiderio di cui è finalmente chiaro il significato: il fallo. Il soggetto è anch’esso marcato da una mancanza: non può giocare per la madre il ruolo di oggetto del desiderio, di fallo. Entrambi sono dunque simbolicamente castrati, ossia assoggettati ad un interdetto21. La castrazione immaginaria (il padre castratore) funziona solo come supporto della castrazione simbolica, ossia come mezzo per assumere il significante di quel divieto.
Terzo tempo. Qui il padre non è semplicemente colui che priva, ma anche e soprattutto colui che dona. Il padre viene interiorizzato dal soggetto come colui che ha il fallo e che lo dona: questo consente al soggetto di avere in tasca22 tutti i titoli per accedere al desiderio e alla sessualità genitale. Il bambino quindi non si trova solo di fronte alla madre, perché di fronte alla madre c’è il significante fallico, il significante del suo desiderio: attraverso questo significante il soggetto entra nella catena degli scambi e accede al desiderio23.
È importante comprendere lo statuto simbolico del fallo.
 
[…] il fallo non è né un fantasma né un’immagine né un oggetto, sia pur parziale o interno, ma è un significante. […] Un significante. Non basta dire che è un significante. Quale? È il significante del desiderio24.
 
Lacan infatti lo intende dunque come significante, come significante di una mancanza nell’Altro e nel soggetto, dunque di un desiderio25, con una modalità di soddisfazione che non passa, come abbiamo visto, per la dialettica duale della domanda26. Esso è
 
il significante della mancanza, il significante della distanza della domanda del soggetto dal proprio desiderio27.
 
È il fallo, come significante della mancanza da cui sono segnati la madre e il soggetto, a sloggiare entrambi dalla domanda e dall’esclusivismo duale che essa comporta. Ecco allora tutta l’ambiguità del significante fallico: da una parte è un significante, ma ciò che esso significa è una mancanza e una modalità di soddisfazione che non ha luogo nel significante stesso, ossia nella logica della domanda di un segno all’Altro materno. Ciò di cui la madre manca, l’oggetto del suo desiderio, è ciò di cui anche il soggetto è privo; egli/ella, a loro volta, devono cercare qualcosa al di là dell’Altro materno e delle sue risposte alla domanda. L’assunzione del significante fallico proprio per questo segna l’entrata nel desiderio: portando un interdetto, disloca dal rapporto duale nella domanda, ma anche dalla soddisfazione simbolica che in esso accadeva. Il significante fallico disegna dunque non solo un altro luogo (l’al di là della madre), ma anche un altro modo (l’al di là della parola). Il paradosso è che proprio lo statuto simbolico del fallo permette l’accesso alla modalità di soddisfacimento non-simbolico del desiderio.
Il fallo in altri termini indica ciò che il soggetto non può essere per lei, ossia il fatto che il suo proprio desiderio (e il desiderio in generale) deve collocarsi altrove. Questo è il senso della Legge. Ed è per questo che in Lacan Legge e desiderio sono strettamente uniti. In questo modo la dialettica duale si interrompe, si apre un terzo posto, strutturalmente vuoto. L’Altro (la madre) è barrato dal significante (fallico), produce una risposta che non soddisfa la domanda del soggetto. Questo significante, che subentra al posto della risposta della madre alla domanda, significante che esprime un no, sposta il soggetto al di là della domanda stessa. È qui che il soggetto dovrà incontrare il proprio desiderio. È qui che il no diventa un sì.
 
È precisamente nella misura in cui l’altro è marcato dal significante che il soggetto può – e può solo così, tramite l’Altro – riconoscere che anche lui è marcato dal significante, cioè che qualcosa rimane sempre al di là di ciò che può soddisfarsi tramite il significante, cioè attraverso la domanda.28
 
Ecco allora il risultato evidente dal terzo stadio del grafo: l’incontro con l’Altro non avviene più al livello della domanda. Il segno che il soggetto riceve è che l’Altro desidera un'altra cosa. La dialettica diventa quindi fra due negatività: l’Altro è affetto da una mancanza che lo rende desiderante (A barrato) e il soggetto, per il tabù dell’incesto, per la logica della castrazione, non può esserne l’oggetto ($).
 
 
È esattamente questo il luogo del desiderio come avvento della singolarità del soggetto: la barratura dell’Altro consiste in un suo allontanamento dal soggetto, ma correlativamente la barratura del soggetto implica un suo allontanamento dall’Altro, poiché si iscrive in lui/lei una mancanza che porta altrove, essendo la prima strada interdetta. Una mancanza difficile da assumere, perché implica uno statuto di non dipendenza dall’Altro. La barratura dell’Altro e la barratura del soggetto avvengono dunque in una determinazione reciproca, ma in una situazione adialettica, inversa rispetto a quella del desiderio hegeliano e kojèviano: se lì il desiderio era desiderio di essere desiderato, in una reciprocità in cui non c’è spazio per un altrove, ora Lacan, distinguendo fra desiderio e domanda, indica con il significante fallico proprio questo altrove. È lì che il soggetto incontrerà il proprio desiderio e la propria singolarità: insomma con l’assunzione del desiderio come cifra della propria singolarità, il soggetto diventa eticamente responsabile di sé stesso, uscendo dalla situazione di patologica disponibilità all’Altro. Il soggetto barrato può desiderare al di là della domanda, ne è indipendente; il desiderio è il suo desiderio.
 
Questo rapporto tra i due soggetti intorno alla domanda richiede di essere completato con l’introduzione di una nuova dimensione che faccia sì che il soggetto sia altro da un soggetto dipendente e la cui relazione di dipendenza fa l’essere essenziale. Ciò che deve essere introdotto, e che c’è fin dall’inizio, latente dall’origine, è che al di là di ciò che l’Altro domanda al soggetto, devono esserci la presenza e la dimensione del fatto che l’Altro desidera29.
 
Ma come si acquisisce il significante fallico? Lacan dice: per metafora. In generale la metafora è la sostituzione di un termine ad un altro. Qual è qui il termine che sostituisce e quello che viene sostituito? Rispettivamente il significante paterno e il significante materno.
Andiamo con ordine. Cosa designa il significante materno? Cosa vuole? Inizialmente l’oggetto del desiderio, l’oggetto da lei significato è un enigma:
Madre
_____
   x
 
Scrive Lacan in modo perspicuo:
 
Lei cos’è che vuole? Vorrei tanto essere io quello che lei vuole, ma è chiaro che lei non vuole solo me. C’è qualcos’altro che la agita? Ciò che la agita è la x, il significato. E il significato dell’andirivieni della madre è il fallo30.
 
Ciò che vuole la madre è qualcosa che lei non ha. Ma neanche il soggetto, per via della Legge, ce l’ha. Entrambi sono simbolicamente castrati. Il padre invece ce l’ha. Il padre viene così al posto della madre e il significante paterno designa l’oggetto del desiderio di lei.
Padre   Madre
_____  _____
Madre     x
Ecco allora come funziona la sostituzione e l’acquisizione del significante fallico:
S                   S’                1
_____        _____      S ______
S’                  x                  s’
Il padre, che sostituisce metaforicamente la madre, è portatore del fallo, ossia di ciò che costituisce la soluzione all’enigma del desiderio della madre. Una soluzione che è una dislocazione del soggetto da quel luogo esclusivo (la logica della domanda) per immetterlo nel campo dei molteplici scambi simbolici. Ciò che emerge è
 
[…] qualcosa in più rispetto alla madre che va e che viene, che si richiama quando non c’è e che quando c’è si respinge per poterla richiamare. Questo qualcosa in più, che deve esserci, è precisamente l’esistenza dietro di lei di tutto l’ordine simbolico da cui dipende e che, siccome è sempre più o meno presente, permette un certo accesso all’oggetto del suo desiderio31.
 
Come sappiamo da Lévi-Strauss il tabù dell’incesto è il limite fra natura e cultura; essa è la Legge. Ad esprimere la Legge è appunto il significante fallico, che designa ciò di cui il soggetto deve essere mancante rispetto alla madre e viceversa. Grazie al significante fallico il soggetto è allontanato dall’ordine naturale ed entra nell’ordine umano, in cui deve realizzare il suo proprio desiderio. Quest’ordine è un ordine marcato dal significante: esso entra e dirige l’agire del soggetto che non è più solo biologicamente determinato, ma simbolicamente costruito. L’ordine simbolico è dunque efficace nel dirigere la vita del soggetto. In quest’ordine il soggetto è entrato proprio grazie al marchio denaturalizzante del significante fallico.
 
Il fallo è quel significante particolare che, nel corpo dei significanti, è specializzato per designare l’insieme degli effetti del significante come tali sul significato32.
 
Insomma se l’ordine della cultura è un ordine di significanti, è un significante in particolare che ha permesso di entrarvi: il fallo. Esso agisce sul soggetto come un marchio ed è il garante di tutto il sistema simbolico.
 
Per questo vi ho detto che il Padre, con la P maiuscola, non è mai solo un padre, ma è piuttosto il padre morto, il padre in quanto portatore di un significante, significante di secondo grado, che autorizza e fonda tutto il sistema dei significanti, e che fa sì che il primo altro, ossia il primo soggetto al quale il parlante si rivolge, sia lui stesso simbolizzato. [capoverso] È unicamente a livello di questo Altro, in termini rigorosi dell’Altro della legge, di una legge, insisto, incarnata, che il mondo articolato, umano, può acquisire la propria dimensione. L’esperienza ci mostra fino a che punto è indispensabile lo sfondo di un Altro rispetto all’Altro, altrimenti l’universo del linguaggio non potrebbe articolarsi in modo tale da mostrarsi efficace nella strutturazione, non solo dei bisogni, ma di ciò […] che si chiama desiderio33.
 
Ma c’è un ulteriore elemento da sottolineare. Questa denaturalizzazione34 avviene non solo come interdetto, ma anche come irrealizzazione dell’oggetto che permette al significante di emergere come significante. Questa dinamica è rivolta al corpo dell’Altro (la madre) e al soggetto, entrambi marcati dall’assenza del fallo. Il significante fallico non ha referente né nel primo né nel secondo: nessuno dei due ha l’oggetto, entrambi sono barrati. Cosa rimane di un significante senza oggetto? Il suo status di significante. Ecco la seconda ragione per cui Lacan può dire che il fallo, che indica una mancanza nell’Altro e nel soggetto, è il significante che autorizza e fonda tutto il sistema dei significanti. Il significante, non designando niente dei due oggetti primari, il corpo della madre e il proprio, designando qualcosa che non c’è in nessuno dei due, può finalmente emergere nella sua autonomia, emergere come significante di una non-cosa e perciò staccarsi dalla cosa. La parola può essere distinta dalla cosa proprio quando essa designa un oggetto che non c’è (e che poi si imparerà a localizzare altrove). Insomma questo è il momento del negativo, il secondo tempo dell’Edipo, in cui il soggetto attraverso un significante senza referente (il fallo) fa esperienza dell’autonomia del linguaggio.
Dopodiché subentra il terzo tempo dell’Edipo: il significante fallico non è in assoluto un significante senza referenza, poiché questa referenza sta altrove, fuori dal soggetto e dall’Altro. La cosa è ritrovata, ma fuori dal corpo proprio e dal segno. Il secondo e il terzo tempo dell’Edipo permettono quindi il taglio originario tra significante e significato, segno e oggetto, innanzitutto distinguendo il significante, poi dislocando l’oggetto. Il significato del significante fallico dunque è esteriorizzato rispetto all’Altro e al soggetto; tale distinzione di piani, in assenza della quale ha luogo la psicosi, permette al soggetto di accedere al simbolico in quanto tale35.
Inoltre il soggetto e l’Altro36 proprio come non-cose, possono essere abitati da tutti i significanti ulteriori, e diventare perni, col supporto della castrazione immaginaria, di un processo di significazione virtualmente infinito.
 
5. L’identificazione del soggetto
Quest’ultimo aspetto merita di essere approfondito. Occorre vedere come il significante fallico permetta, oltre che l’accesso al desiderio e al simbolico in quanto tale, l’identificazione del soggetto, la costituzione in lui/lei di quello che Freud aveva chiamato ideale dell’io. Ciò ha implicazioni notevoli sulla questione della soggettivazione.
Innanzitutto abbiamo il rapporto del bambino e della bambina con la madre.37 Di fronte al dramma descritto da Melanie Klein del doppio polo buono-cattivo e della sua strutturazione autoerotica, Lacan è più cauto e li descrive come un piccolo animale curioso del mondo. Dopodiché si passa alla fase successiva: lo stadio dello specchio. Qui si costituisce un Urbild, un’immagine che cattura la libido del bambino o della bambina; lo statuto di questa immagine è molto delicato: esiste e non esiste; questa realtà virtuale che c’è e non c’è deve essere conquistata38. Da qui comincia la serie delle identificazioni immaginarie, il cui limite è il fallo immaginario (φ): la rappresentazione di sé come oggetto del desiderio della madre. Al tempo stesso si costituiscono le identificazioni simboliche ossia, verrebbe da dire, ciò che, a partire dai significanti dell’Altro, il soggetto è portato a dire inconsciamente di sé stesso (m). Il limite della serie è l’Ideale dell’io (M). Il padre invece è ciò che occupa il vertice posto sulla diagonale rispetto a φ: l’identificazione immaginaria nel fallo è distrutta dal puro principio simbolico rappresentato dal Padre. Abbiamo a questo punto due triangoli: M m i e M m B.
 
 
Ci sono dunque strutturalmente due identificazioni, una immaginaria e l’altra simbolica.
 
Questo doppio schema comporta un doppio movimento di oscillazione. Da un lato la realtà è conquistata dal soggetto umano nella misura in cui arriva a un certo punto dei suoi limiti sotto la forma dell’immagine virtuale del corpo. In modo corrispondente è nella misura in cui il soggetto introduce nel suo campo di esperienza gli elementi ideali del significante che egli arriva ad allargare il campo dell’esperienza alla misura che è peculiare del soggetto umano39.
 
Il secondo triangolo dunque permette al soggetto, al di là del rapporto immaginario e duale, di situarsi40 rispetto a tutto l’ordine simbolico.
 
Il rapporto con la triade significante introduce il terzo termine attraverso il quale il soggetto, al di là del suo rapporto duale, rapporto di cattura da parte dell’immagine, domanda, se posso dire così, di essere significato41.
 
6. Il fantasma.
In questa ridefinizione del desiderio rimane un punto da esplorare: il fantasma. Il desiderio non può aver luogo senza la costruzione del fantasma. Esso non ha un oggetto, ma gira intorno ad una fantasia che accompagna il soggetto in tutta la sua vita psichica; è nel fantasma che si canalizza il desiderio ed è il fantasma a muovere il suo agire. Lacan, riprendendo Freud, sottolinea sempre la struttura intrinsecamente allucinatoria del desiderio, che si soddisfa altrove rispetto all’oggetto42. Il desiderio ha quindi qualcosa dell’ordine dell’irrealtà. Questa costruzione immaginaria, in cui il desiderio indugia, di cui si compiace e si soddisfa, è appunto il fantasma; esso è uno scenario, una storia in cui il desiderio viene incanalato e in cui il soggetto si mette in gioco, nel doppio ruolo di regista e di personaggio.
 
Il fantasma lo definiremo, se volete, come l’immaginario preso in un certo uso di significante. […] Ci riferiamo a delle scene o, per dirla tutta a delle sceneggiature – quindi profondamente articolate nel significante. Ebbene, ogni volta che parliamo di fantasma non bisogna misconoscere il versante sceneggiatura o storia che ne costituisce una dimensione essenziale.43
 
Per capire che cosa Lacan intenda per fantasma occorre riflettere sulla sua funzione di sutura della mancanza dell’altro (A barrato). L’Altro è barrato dal significante fallico, questo vuol dire che il soggetto è confrontato con l’enigma del suo desiderio: cosa desidera la madre? Cosa desidera l’Altro in generale? Il fantasma è ciò con cui il soggetto copre l’angoscia di non conoscere il desiderio dell’Altro.
Ma la barratura ha anche un significato ulteriore, come emerso dall’analisi che l’articolo precedente ha condotto intorno al Seminario VI: l’Altro non contiene il significante del soggetto; la parola io è uno shifter che si situa nella contingenza dell’atto di parola, non un semantema con un preciso posto nel codice; ciò provoca un’angoscia di sparizione (aphanisis), a cui il soggetto fa fronte appunto con la costruzione del fantasma44. Esso rende operativi nell’immaginario quei significanti di fondo con cui il soggetto si è identificato, proprio per far fronte a questa faglia. Di fronte alla crisi di presenza del soggetto, innescata dal linguaggio, il fantasma è la risposta: in esso il soggetto si sente essere e essere-per-l’Altro.
Ora il fantasma ha due caratteristiche che lo rendono intrinsecamente contraddittorio proprio sul terreno della soggettivazione: la singolarità e la ripetizione. Per un verso il fantasma è qualcosa in cui accade la singolarità del soggetto, in cui ha luogo la sua irriducibilità alla domanda, la sua uscita dalla posizione di patologica disponibilità all’Altro. Ma al tempo stesso il fantasma è ripetizione del medesimo scenario. Per un verso il soggetto sembra artefice inconscio di una costruzione singolare, per l’altro esso è agito da questa costruzione, come una marionetta45. Il paradosso è che nel fantasma il desiderio esprime la propria singolarità, ma rischia al contempo di pietrificarsi, di perdere l’inseguimento metonimico dell’altra-cosa nella ripetizione dello Stesso. È quanto Freud sottolineava in Al di là del principio di piacere con la coazione a ripetere, come spinta antivitale.
Cosa fare allora del fantasma? Lacan ha usato una sola volta l’espressione attraversamento del fantasma46. Perché il desiderio non sia pietrificato e possa riprendere la sua capacità di far incontrare al soggetto il nuovo, ciò che di contingente c’è nell’esperienza, occorre che esso sia attraversato; ciò vuol dire – sembra di capire – conosciuto, assunto, vissuto in una modalità tale da non fare del soggetto il suo automaton. Ciò è possibile solo se il soggetto, attraverso il fantasma, è portato a cospetto della propria divisione, in modo tale che il desiderio non si faccia irretire in tutto e per tutto da questa fissazione e ritrovi il suo carattere di spinta vitale47. Il fantasma dovrebbe dunque diventare da macchina generatrice di comportamenti, da dinamica di ripetizione dello stesso, stile d’essere del soggetto, tratto con cui egli/ella, in modo inconfondibile, traccia i diversi quadri della propria esistenza: la mano è la stessa ma i disegni sono diversi; il fantasma, se attraversato, si rivela qualcosa che non fa da barriera al novum esperienziale, ma che permette anzi di integrarlo in una struttura soggettiva che così, in qualche modo, si ridefinisce.
 
7. Il godimento
Abbiamo visto che, nel passare dalla fase umanistica, hegeliano-kojèviana, a quella strutturalista, Lacan ridefinisce lo statuto dell’Altro, che diventa il grande Altro del sistema significante. Contemporaneamente egli ridefinisce anche lo statuto del desiderio, che da desiderio dell’Altro, diventa desiderio d’altra-cosa, organizzato intorno al fantasma. In entrambe le fasi Lacan tematizza il rapporto fra immaginario e simbolico.
Rimane ora da indagare cosa ne è del desiderio con la terza fase, quando fa irruzione il reale, ossia la pulsione vera e propria, il godimento legato agli oggetti perduti dal corpo. Qui Lacan si trova di fronte alla stessa sfida teorica di Freud: indagare il rapporto fra l’inconscio, inteso come capacità di produzione simbolico-immaginaria, e l’inconscio inteso come riserva delle pulsioni. In altri termini quando Lacan esplora questa dimensione, che fine fa il desiderio come desiderio d’altra-cosa, il desiderio come espressione dell’inconscio legata ad un fantasma fondamentale? Il tema del godimento è destinato a sopprimere quello del desiderio? Non esattamente.
Ho cercato di mostrare, nel mio articolo precedente48, i vari passaggi con cui Lacan indaga la questione del godimento. Innanzitutto nel Seminario VII 49 esplora il godimento a partire dalla psicosi: è un godimento massivo, che viene da das Ding, la Cosa, il corpo uno, che la Legge ha interdetto. Successivamente nel Seminario XI50 egli moltiplica das Ding in una serie di oggetti ceduti dal corpo (oggetto a piccolo), i quali tornano sotto forma di angoscia. Infine, nel Seminario XI51 egli descrive il meccanismo pulsionale a partire dai vuoti che la sottrazione degli oggetti a iscrive sul corpo: tali vuoti mobilitano un’energia che fa il giro intorno all’oggetto perduto, senza mai poterlo inglobare; è su di essi, su queste soglie del corpo, che si fissa la pulsione. Questo movimento di circuito intorno all’oggetto a piccolo è fuori significante, acefalo, irriducibile a una integrale Aufhebung in forma simbolico-immaginaria.
Siamo quindi di fronte ad un luogo inabitabile, spaesante, in cui non siamo a casa, un luogo come direbbe Freud unheimlich, se consideriamo come heim (home, casa) lo scambio simbolico umano. Qui il soggetto è totalmente autoriferito, autocentrato, nella ripetizione della pulsione.
Ora, però, questo godimento è un godimento parziale, profondamente diverso da quello della psicosi, che, sembra di capire, ha luogo proprio perché l’estrazione dell’oggetto a piccolo non è avvenuta. Nel Seminario XI Lacan esplora in effetti una soluzione paradossale, la sovrapposizione fra due buchi: quello simbolico-immaginario, in cui l’accesso al linguaggio, come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, lo costituisce come soggetto barrato, e quello reale del godimento, che abbiamo appena richiamato, in cui lo strappo dell’oggetto a dal suo corpo fissa la pulsione52. Il primo è quello del desiderio, il secondo quello del godimento; se questa sovrapposizione di vuoti ha luogo, essi possono in qualche modo allearsi53.
Vediamo come. Cominciamo dal primo; si è visto che il soggetto attraversa innanzitutto un movimento di denaturalizzazione che ora viene chiamato alienazione54: con la castrazione esso viene barrato dal grande Altro. Questo vuol dire che esso viene sloggiato dalla domanda, non si può porre come oggetto del desiderio della madre, non fa corpo unico con lei, in generale non fa corpo unico e viene immesso nei molteplici scambi simbolici. Ma il soggetto riceve anche una barratura per così dire strutturale: il linguaggio non contiene il significante che lo designa e appare piuttosto come uno shifter che punta sul luogo impermanente dell’enunciazione. Il soggetto è quindi preso in una costitutiva crisi di presenza. È proprio qui che – come abbiamo visto – si inserisce il fantasma.
All’alienazione risponde la separazione – e con questo siamo al secondo buco. Qui Lacan gioca con la risonanza fra il significato letterale del termine e il latino se parere: partorire sé stesso. La cessione dell’oggetto a permette al soggetto di costituirsi come tale, di non perdersi in das Ding, di organizzare e canalizzare l’energia pulsionale. Ecco che allora il buco che la cessione dell’oggetto a scava sul corpo, il movimento incessante intorno ad esso dell’energia pulsionale mobilitata da questo strappo, viene sovrapposto al buco simbolico-immaginario, quello del desiderio, del fantasma d’altra cosa. Il desiderio si imbeve così di energia pulsionale e questa a sua volta trova un canale simbolico-immaginario di espressione. Questa è la ragione per cui Lacan parla dell’oggetto a anche in termini di oggetto causa del desiderio: esso non è il noema di una noesi, il bersaglio di un tiro, ma l’oggetto che con il suo strappo segna il corpo di una mancanza, mobilitando quell’energia libidica che può far da supporto al desiderio.
Naturalmente non si tratta di una sintesi dialettica, ma di un equilibrio molto instabile, che oscilla tra i poli della nevrosi ossessiva, il non volerne sapere del godimento, e la psicosi, in cui la libido non simbolizzata e non organizzata intorno al fantasma, si scarica in una catastrofe dell’immaginario, consegnando integralmente il soggetto ad un godimento mortifero.
 
Conclusioni?
È emerso che il passaggio dalla fase umanistico-kojeviana alla fase strutturalista ridefinisce il desiderio. Da desiderio dell’Altro esso diventa desiderio d’altra-cosa, forza vitale che apre il soggetto nella direzione al nuovo esperienziale. Il suo supporto è la carne viva del godimento, l’energia pulsionale che lo strappo dell’oggetto a piccolo mobilita nel corpo. Il desiderio così inteso non potendosi soddisfare né nell’oggetto organico né nel segno, non essendo un prodotto automatico né dell’ordine simbolico né dell’ordine naturale, presentandosi piuttosto come resto dell’azione di quello su questo, si configura come qualcosa di irriducibile a qualsiasi automatismo nomologico, culturale o biologico che sia, ingovernabile, incalcolabile, imprevedibile. È qui che ha luogo quel precario equilibrio fra l’essere soggettivato e il soggettivarsi, l’azione di un campo di forze che produce il soggetto come resto indeterministico, irripetibile, inassimilabile. In una parola: la singolarità.

 

  

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1 G. Miniagio, “Il problema della soggettivazione in Lacan”, in AAVV, Capitale e soggetto, SDF Edizioni, pp. 181-227; anche in http://spazidifilosofia.altervista.org/17-soggetto-e-capitale-doc/29-il-problema-della-soggettivazione-in-lacan,

2 Come abbiamo visto essa è caratterizzata dall’entrata nel linguaggio, che produce una serie di aspetti:

l’incontro con l’Altro a cui la domanda, originariamente rivolta ad un oggetto di bisogno, è rivolta e la trasformazione della domanda in domanda d’amore, domanda dalla presenza dell’Altro, del segno;

l’enigma del desiderio dell’Altro (innanzitutto materno);

la dislocazione della naturalità bisogni, che devono passare attraverso la domanda;

l’aphanisis del soggetto, la sua cancellazione in quanto essere stabile e permanente e la sua riscrittura nell’intermittenza dell’atto di parola;

la costruzione del fantasma.

3 J. Lacan, Le Séminaire. Livre VII, L’éthique de la psychanalyse (1959-1960), Seuil, 1986. Trad. it. a cura di G. B. Contri, Libro VII. L’etica della psicanalisi (1959-1960), Einaudi, 1994, p. 83. D’ora in poi S VII.

4J. Lacan, «La singification du phallus » in Ecrits, Edition du Seuil, 1966; trad. it. «La significazione del fallo» in  Scritti, a cura di G. Contri, Einaudi, Torino 1974; pp. 682-693.

5 J. Lacan, «Subversion du sujet et dialectique du désir dans l’inconscient freudien», in Ecrits, Edition du Seuil, 1966; trad. it. «Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell’inconscio freudiano» in  Scritti, a cura di G. Contri, Einaudi, Torino 1974; pp. 795-831.

6 M. Recalcati, Desiderio, godimento, soggettivazione, Raffaello Cortina, 2012.

7 La significazione del fallo, cit., 689

8 J. Lacan, Le Séminaire. Livre V. Les formations de l’inconscient (1957-1958), Seuil, 1998. Trad. it. a cura di A. Di Ciaccia, Libro V Le formazioni dell’inconscio (1957-1958), Einaudi, 2004, p. 393. D’ora in poi S V.

9 S V 416.

10 J. Lacan, Le Séminaire. Livre VII, L’éthique de la psychanalyse (1959-1960), Seuil, 1986. Trad. it. a cura di G. B. Contri, Libro VII. L’etica della psicanalisi (1959-1960), Einaudi, 1994, p. 20. D’ora in poi S VII.

11 Ivi, p. 688

12 Ibidem.

13 Ibidem.

14 Ibid.

15 S V 395.

16 S V 369

17 S V 204.

18 SV 195.

19 SV 205.

20 S V 206.

21 S V 187.

22 S V 197.

23 S V 294.

24 S V 384.

25 Per esempio in S V 361, dove Lacan analizza lo specifico della posizione femminile nel desiderio.

26 S V 376.

27 SV 292.

28 S V 376.

29 S V 369.

30 S V 177.

31 S V 184-5.

32 SV 403.

33 S V 473. Corsivi miei.

34 Lacan parla di effetto de-naturante che comporta la presenza del significante (S V 474).

35 S V 244.

36 Per quanto riguarda il soggetto, esso arriva a non essere il fallo per la madre (ossia l’oggetto del suo desiderio) solo se può riuscire a significarlo grazie alla metafora paterna e viceversa può riuscire a significarlo solo non essendolo. Quanto all’Altro «[…] non può organizzarsi alcunché della vita mentale che corrisponda a ciò che l’esperienza ci dà nell’analisi, se non c’è, al di là dell’Altro, messo primordialmente in posizione di onnipotenza dal suo potere – l’Altro di questo Altro, se così posso dire, vale a dire ciò che permette al soggetto di percepire l’Altro, luogo della parola, come esso stesso simbolizzato. […]»; S V 473. Corsivi miei.

37 S V 228.

38 SV 229-230.

39 S V 233.

40 S V 280.

41 SV 281.

42 S VII 65.

43 S V 419.

44 Cfr. G. Miniagio, “Il problema della soggettivazione in Lacan”, in AAVV, Capitale e soggetto, SDF Edizioni, pp. 181-227; anche in http://spazidifilosofia.altervista.org/17-soggetto-e-capitale-doc/29-il-problema-della-soggettivazione-in-lacan.

45 Jacques Lacan, «Kant con Sade», in Scritti, cit., p. 780. Su questo doppio statuto del fantasma v. Recalcati, II, 273-5.

46 S XI 277.

47 Cfr. Recalcati, cit., 278-282.

48 G. Miniagio, “Il problema della soggettivazione in Lacan”, in AAVV, Capitale e soggetto, SDF Edizioni, pp. 181-227; anche in http://spazidifilosofia.altervista.org/17-soggetto-e-capitale-doc/29-il-problema-della-soggettivazione-in-lacan; §5.

49 Ivi §5.1.

50 Ivi §5.2.

51 Ivi §5.3.

52 «Deux manques ici se recouvrent.  L’un ressortit au défaut central autour de quoi tourne la dialectique de l’avènement du sujet à son propre être dans la relation à l’Autre — par le fait que le sujet dépend du signifiant et que le signifiant est d’abord au champ de l’Autre. Ce manque vient à reprendre l’autre manque qui est le manque réel, antérieur, à situer à l’avènement du vivant, c’est-à-dire à la reproduction sexuée. Le manque réel, c’est ce que le vivant perd, de sa part de vivant, à se reproduire par la voie sexuée. Ce manque est réel parce qu’il se rapporte à quelque chose de réel, qui est ceci que le vivant, d’être sujet au sexe, est tombé sous le coup de la mort individuelle»; J. Lacan, Le Séminaire. Livre XI, Le quattre concepts fondamentaux de la psychanalyse (1964), Seuil, 1973. Trad. it. A cura di A. Di Ciaccia, Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicanalisi (1964), Einaudi, 2003; p. 229. D’ora in poi S XI.

53 J. A. Miller si è interrogato sui differenti paradigmi del godimento e ne ha fissati sei. Se il paradigma 3 (il godimento impossibile; Seminari VII e X) mostra il godimento come forza che impedisce l’accesso al desiderio, il paradigma 4 (il godimento normale (Seminario XI) indica invece una sua possibile alleanza col desiderio (cfr. J.-A. Miller, I paradigmi del godimento, a cura di A. Di Ciaccia, Astrolabio, 2001). 

54 Cfr. S XI pp. 235-237.