Marco Ciccarella | Esposizione e ®egistrazione. La dispersione del Sé nella Rete

Traccia 1.
Disciplinamento. Per una fenomenologia poietica della ®egistrazione
 
Dischiudere i processi di soggettivazione eteropoietici nel sistema del Capitale. Mostrarne la disarticolazione identitaria, la sostituzione compulsiva di pezzi inadatti con riflessi organici. Misurare la produzione di una identità strutturale al mondo-delle-cose e alla sua sopravvivenza. Vedere il progressivo compostaggio operato su soggetti consegnatisi alla fertilità di un modo di produzione planetario, la vera internazionale del soggiogamento servile. Quale la chiave? Dove l’uscita? O almeno, come comprendere? È possibile una fenomenologia della registrazione, ossia l’analisi di una irreversibile cristallizzazione dell’Io tra mercato, consumo e media? Dal cristallo denaro al cristallo Io, vera forma equivalente generale, l’universalizzazione della condizione egologica. I social media esigono tributi coscienziali, scartano Sé in luogo di Io pronti, disciplinati, brillantemente registrati alla causa. È la logica di una ®egistrazione di massa, linearizzazione del caos, misurazione dell’Io e compressione del Sé. Esposizione e riduzione. L’Io si mostra come figurazione posta, come semplificazione data, come nuova creatura pacificata e ripetente, loop identitario di un vuoto a comando. Cosa ci si aspetta che faccia? Sostituzione e limitazione. Io pronti a tutto: ridere, viaggiare, leggere, scrivere, indignarsi, odiare, amare a orologeria. Pronti? Via! Via dal Sé, reliquia soggettiva, pericolo autopoietico, instabile, fluttuante, maschera di maschere, sempre Altro perché sempre Sé, sempre Sé perché sempre Altro. Il disciplinamento profila soggetti e identifica omogeneità, determina code inesauribili, uno dietro all’altro, uno senza l’altro, l’Altro che è sempre voltato, mai un Noi, mai altro che Altro. Eppure il Sé sopravvivrebbe a un Io allineato, registrato a peso, di desiderio, di appetito, di vuoto. Il Sé sopravvivrebbe nei suoi irriducibili detriti, nelle sue maschere senza profilo, nella clandestinità identitaria, nel suo nomadismo, appunto. Deformalizzare è la strada percorribile, togliere forma a un Io non proprio, riprendersi l’assenza, la sfocatura, l’esser-sempre-altro del Sé. Una fenomenologia poietica della registrazione avrebbe questo compito: deformalizzare l’Io e recuperare il Sé, piantarlo senza radici, rizomatico, affinché si muova sempre più veloce del controllo di produzione, un controllo di non-qualità, la sua fine come inizio di mercato. E allora proprio l’inizio di un Sé come fine del mercato si cerca di scovare, tra pieghe e inviluppi, tra Sé e Sé sempre Altri. Come fare? Partendo da una analisi dell’Io, dalla sua crisi, dalla sua riproducibilità, dalla sua monodimensionalità identitaria. Occorre uno sguardo interno al modo di produzione identitario, al ricovero e compostaggio di soggetti ridotti a consumo di Sé. Il disciplinamento è la procedura chiave, in quanto irrigidimento del soggetto, come sottrazione di Sé proprio in nome di un Io condiviso, dunque sistema. La semplificazione è l’ineluttabile modulazione di un asservimento. Disciplinamento tra sorveglianza e punizione, tra rappresentazione e rappresentato.
 
 
Traccia 2.
Media. Il corpo vivo, l’Io registrato
 
In che misura il corpo vivo abita i media? E il web? La sottrazione continua, il prosciugamento di una dimensione fisica del soggetto fa i conti con una altrettanto irrefrenabile esposizione dei corpi. La digitalizzazione riproduttiva della corporeità, l’esposizione iperbolica dell’irriproducibile pone il paradosso di una rarefazione del reale. Questa rarefazione riguarda solo il corpo riprodotto o anche l’Io? Corpo vivo e Io registrato in che rapporto si riproducono? Il corpo vivo digitalizzato è rappresentazione di una progressiva miniaturizzazione dell’estensione, è la bidimensionalità della reductio a simulacro. L’ipotesi è che, così come per il corpo, visibile ed esposto nel suo annullamento, la stessa sorte accada all’Io, attraverso una perdita di dati del Sé, come fosse una compressione. L’Io registrato è la parodia del sogno di liberare il soggetto attraverso la Rete, è la trappola della presunta leggerezza e volatilità di un soggetto multiplanare, la sua verticalità, l’abbandono di un codice orizzontale come quello analogico. E invece, la Rete impiglia, cattura, trattiene proprio la verticalità, la complessità disarmata e immolata alla causa della iper-riproducibilità. Corpo e Io si registrano al ribasso, si arrendono all’esposizione disciplinante e bidimensionale di una rete da cattura che regala sogni e superfici abbaglianti. Un corpo vivo tanto più esposto, tanto più annullato, si assoggetta alla sua perdita, alla sua rinuncia, alla sua assenza presentissima, sbirciata, guardata, consumata. Perché? Finire nella rete, ancor di più nei media, è una rappresentazione autopoietica? L’Io registrato è Sé, o rincorre una rappresentazione eterodiretta da chi di quell’assenza presentissima non sa che farsene, tanta è l’esposizione, l’assente ridondanza di corpi esposti, esausti, il rigurgito di una materia non pervenuta? Allora, l’Io registrato è soggezione speculare, è riflesso mai raggiunto, è movimento navigante in una rete-trappola. La ®egistrazione. Un Io codificato, certificato, schedato, questo sì verticale e multiplanare, da chi profila un’identità. È un modo di produzione identitario sia nella registrazione dell’Io che si espone al flusso di dati gratuitamente donati, attraverso una ripetizione del proprio esercizio verticale di autoannullamento, sia di chi acquista dati da quell’esposizione permanente, da quella saccente vetrina che il web rappresenta. Senza padroni, si dice, senza controllo, si racconta, e che invece si struttura in una colossale caccia identitaria, commerciale-politica-sociale-sessuale-corporale. Bel paradosso, vero? Ma vuoi mettere l’ebrezza di trovare una parola su un motore di ricerca in 0,54 secondi per 2.940.000 risultati? Liberi di nuotare nella rete.
 
 
Traccia 3.
La trasparenza identitaria, l’opacità poietica. L’ammissione/la missione di una felicità esposta
 
Trasparenza egologica, opacità del Sé. La rete porta trasparenza e benessere? Trasparenza. Siamo sicuri sia un obiettivo da perseguire, la trasparenza? Perché cos’altro è la trasparenza se non la dematerializzazione del Sé, prima ancora che del corpo. È un passare attraverso, la trasparenza. È la perdita di ogni resistenza al flusso di dati e di sguardi, di letture e di profili, la trasparenza. È una perdita identitaria, la sconfitta di un Proprio, l’accalappiamento della Rete. Il Sé identico che va in frantumi, dispiegato su un quadro troppo grande per accoglierlo, perché l’opacità mostrerebbe ancora segni di resistenza. L’opposizione alla reductio. La trasparenza è la porta dell’indifferenziazione, ben lungi da una forma nomadica del soggetto, perché quella presunta leggerezza del soggetto in rete non è altro che la scomposizione della complessità in superficie. Il nuovo dualismo è proprio qui, tra trasparenza e opacità. Tra il guardare attraverso e il guardare qualcosa. Tra l’essere-attraversato e l’essere-resistenza, una composizione di Sé che misura la propria rarefazione o che strappa identità all’annullamento. E allora l’opacità è autopoiesi, è resistenza alla gabbia di rete, è la coscienza di non aver bisogno di esposizione per essere-proprio, una esposizione che invece dissolve e libera-dal-Sé, reifica e vaporizza, che assume come credo indissolubile la missione di una felicità esposta, a qualunque costo. Anche a costo di perdersi. Perdersi e vendersi, perché è un perdersi e esporsi, attraverso una continua riproposizione di un soggetto scomposto e cannibalizzato, disossato. E torna la trasparenza, come la missione e l’ammissione di una felicità esposta, dunque persa, dunque rimandata al visitatore anonimo, a un solus ipse creduto comunitario. Foto con sfondi solo diversi, in cui l’esposizione è il volto ripetuto centinaia di volte, a secchiate, con quella posa là, quella in cui si sta così bene, quella in cui tutto si è già perso ancora una volta. Il profilo migliore, la guancia migliore, l’occhio migliore, lo sguardo migliore, il ghigno migliore. Esposizione. Trasparenza e opacità. Il dove non conta più, è il chi che de-forma il centro della scena, è un chi che tanto più si ripete, tanto più sparisce nell’indifferenziato, trasparente appunto, colonia di superficie. Il ghigno di sempre, la rete trasparente, la vetrina disusa.